“Covid-19…Il Paese che verrà”: Mons. Francesco Alfano Arcivescovo Castellammare-Sorrento
Il primo protagonista di “Covid-19…Il Paese che verrà” è Mons. Francesco Alfano, vescovo della diocesi di Castellammare e Sorrento che di buon grado ha accettato il nostro invito a una riflessione sul ruolo della religione e della chiesa oggi e soprattutto domani quando la pandemia, ce lo auguriamo, potrà essere solanto un ricordo di questa primavera 2020.
Mons. Alfano, la pandemia covid-19 ci ha posti di fronte a una situazione assolutamente nuova e per molti versi devastante sul piano dei rapporti sociali, interpersonali oltre che su quelli di natura sanitaria e socio-economici.
“Non c’è memoria di una situazione così grave per gli effetti che ha prodotto e che produrrà nelle relazioni sociali. Non era mai accaduta una cosa simile, nemmeno nella Chiesa! Ci siamo trovati tutti di fronte a una realtà così devastante, da ogni punto di vista, che non è stato facile capirla subito e accettarne le conseguenze, che abbiamo intuito fin dall’inizio come molto serie, ma che solo con il passare del tempo si sono mostrate in tutta la loro enorme gravità”.
Qual è stato l’atteggiamento della Chiesa di fronte a questa situazione?
“Innanzitutto, come comunità cristiana ci siamo chiesti come poter stare vicino a quelli che soffrono. Non è stato facile trovare risposte concrete e immediate, viste le restrizioni che si facevano sempre più forti prima ancora della chiusura totale, con l’obbligo di “restare a casa”. Ma la fantasia della carità non conosce limiti. Posso testimoniare che tutte le comunità si sono date da fare, attraverso le Caritas parrocchiali, i volontari, l’attivazione dei Centri di ascolto via telefono, ma soprattutto con la disponibilità dei Parroci. Sì, si sono messi tutti in prima linea, lasciandosi aiutare nel trovare forme possibili di contatto e di presenza. Ovviamente l’utilizzo dei social è diventato quasi obbligatorio, persino per quelli che ancora facevano resistenza. Dai momenti di preghiera a incontri con i gruppi, dai messaggi alle catechesi, non si sta trascurando nessuna forma di comunicazione per essere accanto alle persone, soprattutto per tenere accesa la speranza in un momento così oscuro e incerto”.
Cambierà qualcosa anche nella pastorale dopo questa inattesa e sconvolgente esperienza, che ci auguriamo tutti finisca presto?
“Credo proprio di sì. Anzi dobbiamo riconoscere che sta già modificando il nostro modo di sentire e di porci dinanzi alle sfide del nostro tempo. Credo si tratti innanzitutto di affrontare senza timore il problema essenziale, che sta emergendo con chiarezza: il bisogno di senso che ciascuno porta dentro di sé, e che trova nella fede una risposta proponibile anche ai nostri giorni se non si limita alla ricerca del sacro dinanzi alle grandi paure. Ci verrà chiesto ancora di annunciare la gioia del Vangelo senza pretese o privilegi, ma mettendoci accanto a ogni persone, con umiltà e fiducia, sapendo ascoltare e condividere. Si tratta insomma di privilegiare la via della gratuità, che Gesù ci ha insegnato, per coltivare una nuova passione per il bene comune, nella riscoperta dell’unica famiglia a cui apparteniamo, quella dei figli di Dio. Un’unica attenzione privilegiata ci è imposta, non solo dagli eventi ma anche dal nostro credo: partire dai poveri, che sono improvvisamente e spaventosamente aumentati”.
I poveri, le fasce più deboli della società rappresentano quindi la nuova sfida per le comunità di tutto il mondo?
“Dovremo finalmente considerare i poveri non più oggetto di beneficenza o, come alcuni ancora pensano, ostacolo per il benessere generale, ma veri fratelli e sorelle, portatori di una ricchezza che spesso viene a mancare alla maggior parte di noi, cioè il bisogno che tutti abbiamo di farci aiutare in qualche momento della nostra vita perché… come ci ha ricordato Papa Francesco in quella indimenticabile serata in cui si è presentato solo in piazza San Pietro davanti a tutto il mondo: “siamo tutti nella stessa barca”! E quando si è nella tempesta Dio ci viene in aiuto con il contributo di tutti, anche di coloro che sembrano non poter fare nulla perché sono privi di mezzi materiali, ma che con la loro nudità ci mettono di fronte alla verità di noi stessi: siamo tutti figli, che solo riconoscendosi fratelli potranno continuare il cammino e preparare un futuro migliore per l’intera umanità!”.