Vincenzo Romano: “quanto siamo piccoli…noi poveri illusi!”
Caro direttore e carissimo amico di vecchia data, riprendo a scriverti dopo un lungo periodo di volontario silenzio e ciò non perchè mancassero argomentazioni di cui discorrere quanto, piuttosto, perchè sarei stato tacciato di partigianeria pur non essendo partigiano di alcuna parte ed esposto la tua testata a critiche e commenti irriguardosi ed ingiusti che nè tu, nè i tuoi collaboratori meritate.
Ho sempre apprezzato la tua linea editoriale, il tuo essere sempre super partes cercando nella ratio dei fatti sempre una risposta razionale e ragionevole ed è per questo che ho sempre taciuto.
Ciò che mi porta a ricominciare a battere sulla tastiera è il periodo irto di difficoltà che stiamo vivendo e le conseguenze cui andremo incontro.
Siamo una giovane democrazia avviluppata nel suo elogio del singolo. La nostra generazione, quella dei cinquantenni, a conti fatti, è una generazione di falliti. Siamo quelli che hanno tifato per i sessantottini senza saper proseguire nel loro solco. Abbiamo fatto i girotondi siamo diventati arcobaleno e poi partecipato in massa ai vaffa day, partecipato alla chiamate in piazza di sardine solo per dire: non ci sta bene così.
La nostra, Vincenzo mio, è una genia di opera incompiuta. Noi che da ragazzi abbiamo vissuto l’epidemia di colera (ma avevamo il vaccino), che da adolescenti abbiamo patito il terremoto e la sua forza distruttiva ci siamo seduti in attesa degli altri che facessero al posto nostro. Noi siamo quelli che chiedono, anzi pretendono, attenzione dal centro salvo poi frodare quelle casse che ci hanno sfamato ed ingrassato.
Siamo quelli che han fatto dell’invidia nei confronti dell’altro il proprio mantra. La nostra parola d’ordine è : —–ma gli altri?
Vedi quanto piccoli siamo. Privi del più elementare senso civico. Ci muoviamo a tentoni, improvvisando di continuo, senza un disegno armonico in una realtà che, invece, pretende serietà e coerenza animati da insano egoismo e barlumi di epici bagliori di eroismo.
Anche nell’affrontare l’epidemia attuale, invero virulenta e subdola (periodo d’incubazione e presenza di numerosi contagiati asintomatici, i cdd portatori sani) abbiamo dato prova di attendere la messianica discesa del deus ex machina. Eleviamo al rango di miti epici il personale che lavora in condizioni da far accapponare la pelle ,ma non rinunciamo alle nostre prerogative sociali sicuri, col cavolo, che i fatti di Bergamo da noi non arriveranno mai.
Poveri illusi siamo. Facciamo flash mob dai terrazzi delle case, cantiamo l’inno di Mameli, ma poi prendiamo la bicicletta perchè mens sana in corpore sano e ci prepariamo a fare la maratona del passatore sicuri di una non garantita immunità.
Volutamente viviamo nell’ignoranza del non sapere cosa accade attorno additando al pubblico ludibrio le azioni degli altri ergendoci a accusatori, giudici e, alla bisogna, boia.
Non chiedere cosa il tuo Paese possa fare per te bensì quello che tu puoi fare per il tuo Paese, per noi non esiste. Continuiamo ad invidiare i salotti di Vespa e di D’Urso, il grande fratello e l’isola dei famosi. Passiamo bovinamente le giornate chini sui cellulari o davanti ad uno schermo imbebendoci di notizie che scorrono su di noi come acqua sugli specchi.
Chioso, parafrasando Fortis: io vi odio voi italiani, io vi odio tutti quanti. Brutta banda di ruffiani e di intriganti, camuffati, bene o male, da intellettuali e santi.
di Vincenzo Romano