Il lavoro c’è…la fatica e la voglia di riuscire a trovarlo!
Chi vive frequentando persone in carne ed ossa ed interagendo con queste si trova, sempre più sovente, ad essere tetragono agli strali e alle lamentele di tali figuri. Ovunque possa spaziare e l’occhio e la funzione deputata del padiglione auricolare è un susseguirsi di: ….ho diritto a….
Sfogliando pigramente un vecchio dizionario, di quelli ancora fatti di carta e dalle copertine cartonate che non stavano mai nello zaino e che quando cadevano durante i compiti (allora si chiamavano “compiti in classe”) sortivano l’effetto di una cannonata, mi sono dilettato a ricercare alcuni vocaboli già in voga “ai miei tempi” ma oggi dati per scontati ed usati o, se si vuol essere sinceri, abusati anche dai ragazzi in età di scuola dell’obbligo di primo grado.
Alla voce diritto leggo della capacità dell’individuo ad esercitare una prerogativa che gli viene riconosciuta dall’ordinamento giuridico e da questi viene tutelata. Il dizionario prosegue, altresì, con una serie di esempi di espressione del diritto tout-court: diritto al lavoro, alla casa, alla dignità personale…per proseguire con un lungo elenco degno del “novissimo digesto”. Ciò che il dizionario non cita, e che non potrebbe fare per la sua stessa natura, è che l’esercizio di un diritto presuppone la contrazione della capacità, o libertà, di un altro che detto diritto non possiede. Ci troviamo, cioè, di fronte, sempre a voler restare in ambito scolastico, alla teoria dei liquidi secondo la quale quale: dato uno spazio delineato e saturo, acchè un fluido possa espandersi occorre che l’altro si comprima o si riduca in quantità tale da lasciar spazio a quello subentrante.
Tutto questo tedioso preambolo, che potrebbe apparire fuori luogo, mi serve per trattare di un argomento molto in auge negli ultimi tempi e tanto caro alle parti politicamente impegnate che rappresentano il popolo: il lavoro.
Da pochi giorni si è festeggiata la ricorrenza del 1° maggio dedicata appunto al lavoro ma pochi, me incluso, se ne sono accorti se non per alcuni post apparsi sui social che inneggiavano al concertone di piazza San Giovanni in Roma.
Lavoro che c’è o lavoro che non c’è? Lavoro che, quando lo si ha, ha come corresponsione il giusto, oppure è sfruttamento? Risponde o no alle aspettative ed ambizioni e se non lo fa come poter cambiare e migliorarsi?
Chi ci rappresenta e governa ha annunciato che, con una serie di misure, si è abolita la povertà, si sono spalancate le porte del mondo del lavoro ad una platea prima non coinvolta o dimenticata, si è sancito l’ottenimento della felicità. Chi fa opposizione ridacchia in attesa di vedere i risultati. Chi ha ragione e chi ha torto? Chi fa e chi è che millanta? Gli uni si abbarbicano invocando la Costituzione e lo stesso fanno quelli della parte avversa.
La verità è magnanima e non conosce la lotta di classe o di parte. La verità è universale (ossia rivolta verso tutti). Purtuttavia diverse sono le strade per raggiungerla e mai, queste, sono facili.
Per capire meglio la vicenda mi trovo a guardare il calendario e leggo : 1 maggio San Giuseppe falegname. Forse la Chiesa, come organizzazione, mi viene incontro. Cosa ha contraddistinto il padre putativo di Gesù? L’accettazione di ciò che gli accadeva alla luce di un superiore interesse, risultato, scopo; le sue categorie mentali ed etiche non gli permettevano di attingere ad informazioni soddisfacenti ed allora cosa ha fatto? Si è fidato, come Maria prima di lui (sia fatta la Tua volontà), è stato un rivoluzionario perchè ha posto fiducia in una entità immateriale e di cui solo la fede aveva contezza. In poche parole, il falegname di Nazareth si è fidato
E’ possibile, oggigiorno, esercitare una tale virtù senza tema di smentita? E’ possibile esercitare il diritto al lavoro?
Il nostro ipotetico studente, ormai cresciuto, potrebbe dire: Va bhè, a patto che…..
A patto di che? Cosa? Forse che per il lavoro si rende necessario un qualche arcano rito da dover compiere? Suvvia, nel ventunesimo secolo non ci sono riti apotropaici cui sottoporsi. Basta seguire una semplice massima: studio, mi preparo, mi pongo con umiltà di fronte al mondo, sogno ma vivo la realtà, non ho paura dell’incerto e lo affronto, cerco di migliorarmi volta per volta.
Oddio, devo essere anche ubriaco, cosa mi sono permesso di scrivere? Volevo forse dire che per avere un posto di lavoro occorre sudare, sacrificarsi, prepararsi, adeguarsi.
Eppure mi avevano detto che il lavoro è un diritto e che non prevedeva il dovere al sacrificio, che il lavoro me l’avrebbero portato al tavolino come un caffè senza neanche farmi pagare per il servizio.
Qualcosa non va. Forse che per attendere ad un diritto è necessario adempiere ad uno o più doveri. Non mi avevano avvertito di questo risvolto inatteso ed improvvido.
Ho diritto al lavoro. Me lo hanno sempre detto. Nessuno mi ha mai detto che le ambizioni si sedano con l’impegno, lo studio, la ricerca, le porte in faccia e le delusioni, con la costanza e la serietà e non importa se questi strumenti mi siano messi a disposizione da un’entità trascendente, da una organizzazione, dalla mia famiglia, dalla mia iniziativa o ingegno.
Allora torniamo alla domanda iniziale: c’è lavoro oppure no?
Il nostro studente, peraltro poco preparato, risponderebbe: la dottrina è discorde. Una volta tanto, chi vi scrive è d’accordo con lui. Il lavoro c’è ma poche volte corrisponde al nostro immaginario per cui, di fatto non c’è. Una volta eravamo un popolo di santi, navigatori e poeti oggi siamo amebe insoddisfatte senza l’afflato, l’ispirazione e la curiosità di chi ci ha preceduto.
Ho diritto al lavoro per cui debbono essere gli altri a cercarmelo. No mio stimato lettore, il lavoro lo si semina da ragazzi, lo si coltiva da giovani lo si migliora e modifica in età matura o, addirittura, lo si inventa. Rammentati del catechismo, quando il sacerdote ti parlava dell’Eden e come è poi andata a finire la vicenda di Eva, del serpente e della mela: guadagnerai il pane col sudore della tua fronte. Energie fisiche e mentali. Pochi sono quelli che raggiungono fama, gloria e ricchezze in maniera fulminea e queste, ancor più raramente, sono durature sono come la bellezza: sfioriscono rapidamente.
di Vincenzo Romano