Il rischio di omosessualizzare la nostra società

gender1Chiedo ospitalità al vostro giornale per poter esprimere un’opinione sul tema del giorno, cioè la teoria gender applicata ai programmi scolastici e che sta mobilitando l’opinione pubblica, almeno quella più preoccupata verso una forma di contaminazione culturale delle giovani generazioni e diretta a instaurare un processo di omosessualizzazione collettivo. Non ho voluto affidare a un social questa riflessione per non confonderla nel mare magnum di notizie pro e contro, ma a un giornale che voglia ospitare un’opinione anche se considerata di minoranza. L’ho inviata, ma senza successo, anche ad altre testate. Spero che vorrete dar voce a chi comincia a sentirsi un “diverso” soltanto perchè non condivide l’opinione della maggioranza e dei poteri che stanno imponendo un cambiamento radicale alla nostra società nel suo complesso con ripercussioni che potrebbero anche rivelarsi pericolose per il futuro dell’umanità. Quando ho letto che il Ministro dell’Istruzione si è dichiarato pronto a denunciare chi avesse sostenuto che la “buona scuola” promulgava questa teoria “gender” mi sono convinto che le cose non stanno proprio come si tenta di far credere visto che si ricorre addirittura all’intimidazione ministeriale nei confronti di chi ha motivo di non credere fino in fondo a quanto asserito dal Ministro e da una molto variegata rappresentanza socio-culturale nel nostro Paese.

Prima di entrare nel merito di alcune questioni, anche tecniche, voglio evidenziare che la mia generazione è stata educata alle differenze di genere e nello stesso tempo al “rispetto cavalleresco” della donna “che non si picchia neanche con un fiore…” o alla quale “si cede il posto in autobus o sul treno” e così via. Cioè una concezione dell’universo femminile improntata al rispetto della donna soprattutto in quanto madre. E poi anche sorella, fidanzata, moglie e figlia. Cioè persone alle quale non si può che volere bene coltivando e praticando la cultura del rispetto sotto tutti i punti di vista. Questi, una volta si chiamavano valori che venivano appresi in famiglia e che trovavano conferma nella scuola, all’oratorio e in tutti i contesti nei quali si affermavano concezioni, idee, visioni dell’universo femminile inteso come l’altra metà del nostro mondo, una metà senza la quale la vita di un uomo ha poco senso e l’incontro con la donna rappresenta, reciprocamente, il compimento di un evento naturale in grado di generare altra vita.

GENERAZIONI DI GALANTUOMINI

Insomma nella stragrande maggioranza dei casi questa cultura ha prodotto generazioni di galantuomini che mai si sono sognati e si sognano di abusare di una donna o di vilipendere il gentil sesso, di torturare e uccidere solo perchè donna. In questa cultura e con questa educazione la donna è cresciuta circondato di un alone di rispetto o addirittura di riverenza. Ora è chiaro che il discorso può essere diverso alla luce dei diversi contesti sociali, culturali, economici in cui si nasce, si cresce e si vive in relazione con gli altri. Ciò non toglie che il rispetto, reciproco, è un’acquisizione culturale fondata sull’apprendimento e quindi su quello che bambini e ragazzi apprendono in famiglia, in primo con l’esempio di quello che vedeno e vivono, e quindi nella scuola e nella società più in generale. E’ evidente che sollecitazioni diverse e/o anche in contrasto tra di loro determinano situazioni di disagio se non addirittura di crisi col risultato di alterare la percezione di valori, di qualunque tipo di valore, lasciando così il campo all’imitazione di ciò che appare più utile e conveniente, se non addirittura all’istinto.

Per esempio: piccoli studenti provenienti da famiglie di criminali le quali educano i figli a rubare, a sopraffare e a delinquere come possono apprendere validamente a scuola una cultura civile e civica se poi, tornando in famiglia, vengono indotti a praticare esattamente l’opposto di quanto appresa a scuola? Si chiede alla scuola uno sforzo sovrumano che nella stragrande maggioranza dei casi non riesce a modificare l’individuo e i suoi comportamenti. Anche da qui è scaturita la necessità di un più stretto raccordo tra scuola e famiglia per armonizzare la formazione attuando anche piani educativi che hanno bisogno di una naturale dose di continuità e di coerenza per produrre risultati. Ora se tante famiglie sono preoccupate di fronte alla notizia che la scuola può attuare un’azione formativa in materia di “genere” con riferimento all’identità sessuale piuttosto che scandalizzarsi e addirittura offendere chi non condivide questa idea, si dovrebbe aprire un reale e pregiudiziale confronto con le famiglie, ancor prima che con gli studenti, affinchè possano conoscere quello che la Politica ha partorito e posto in essere in attuazione di direttive comunitarie e leggi nazionali che le hanno recepite lasciando alle autorità il compito di tradurre principi sascrosanti in azioni formative che toccano direttamente la coscienza e la sfera più intima di un individuo, di un bambino o di un ragazzo, nell’età in cui si formano i capisaldi della percezione di sè rispetto agli altri, alla società e al mondo intero.

Se è corretto educare il bambino al rispetto, sin dalla più tenera età, dei genitori e dei fratelli, degli insegnanti e della realtà in cui vive, dell’ambiente naturale e degli animali e così via, è altrettanto doverso educarlo alla corretta percezione di sè, della propria identità anche sessuale perchè la diversità di genere è elemento costitutivo della comunità sociale e culturale e sul valore di tale diversità bisogna affermare i principi di sussidiarietà in virtù dei quali una società cresce e si evolve nel rispetto di ogni espressione vivente e naturale. L’identità di genere sessuale, fino a prova contraria, è un dato biologico che, fatte salve le dovute eccezioni, si fonda sull’identità cromosomica che genera individui di sesso maschile e di sesso femminile.

Ora se la percezione di tale identità non deve più rientrare nell’ambito di una considerazione scientificamente oggettiva, ma essere il frutto di una autodeterminazione culturale per conseguire la quale occorre pregiudicare, sin dall’infanzia, la percezione sessuale differente tra un maschio e una femmina, ciò si traduce in una manipolazione della persona, anzi del bambino, che cresce prescindendo dalla considerazione di sè come essere biologico oltre che umano; fattori che la componente culturale è in grado di condizionare indirizzandola, col pretesto dell’autodeterminazione, verso una percezione e quindi una rappresentazione indifferenziata della persona.

gender2La quale, a prescindere dal sesso, cioè dalla sua identità di genere, diventa un soggetto inconsapevole della sua naturale funzione biologica e incapace di relazionarsi col resto dell’umanità secondo il principio che le differenze rappresentano un valore e sono un’opportunità per ampliare la sfera dei propri orizzonti, delle proprie conoscenze, delle proprie relazioni, delle proprie facoltà riuscendo a recitare il ruolo più consono a una personalità compiuta e consapevole. Quindi la polemica non credo sia fine a sè stessa, ma rappresenti la diversa percezione e visione di questa tematica nonchè dei comportamenti che si ritengono più funzionali a porre in essere concrete politiche di pari opportunità e di rispetto del più debole.

L’applicazione nella scuola di questa “filosofia del genere” scaturisce dalla Convenzione di Istanbul del 2011 per il contrasto a qualunque forma di violenza sulle donne dove per genere “…ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini“. In secondo dal “Rapporto Estrela del 2013” che all’articolo 14 sull’Educazione recita: “Le Parti intraprendono, se del caso, le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi”. E’ evidente, quindi, che una giusta causa (quella della parità e della tutela delle donne contro la violenza etc…) si traduce in termini di scelte politiche nella creazione di un modello di società nel quale i ruoli non siano stereotipati. Il che significa avere una visione non stereotipata della sessualità per la quale la differenza biologica tra maschio e femmina non è pregiudizievole all’instaurarsi di relazioni sessuali e di coppia tra persone dello stesso sesso e con tutte le varianti sin qui conosciute che hanno tutte diritto di cittadinanza: anzi finiscono addirittura col prevalere perchè ritenute più emancipate rispetto alla visione tradizionale del rapporto maschio-femmina e di coppia. Possiamo allora legittimamente e liberamente affermare la nostra diversa opinione rispetto a chi ha partorito questa nuova visione del mondo e della nostra società?

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