Opinioni/Cassiopea, storia emblematica dei nostri giorni

Avv. Agostino La Rana

In questi giorni, quotidiani e telegiornali stanno dando ampio risalto al processo “Cassiopea”: ricapitoliamo i fatti. Nel 2003, il pubblico ministero di Santa Maria Capua Vetere Donato Ceglie, chiese il rinvio a giudizio di ben 95 imputati, quasi tutti imprenditori del Nord e autotrasportatori, accusati di aver trasformato ampi terreni nella provincia di Caserta in discariche abusive per i rifiuti prodotti da industrie (soprattutto siderurgiche e chimiche) del Nord. L’indagine, denominata “operazione Cassiopea”, venne descritta da Roberto Saviano nel suo “Gomorra” e trasposta nella riduzione cinematografica, con l’interpretazione magistrale di Toni Servillo. Detto per inciso, Saviano descrisse nel suo libro anche una seconda indagine, quella dei “magliari dell’Alleanza di Secondigliano”, emblematica, come la prima, sulle nuove attività della “mafia s.p.a.”: lì l’ecomafia, qui la contraffazione. Venerdì 16 marzo u.s., il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella persona del Giudice dell’Udienza Preliminare Giovanni Caparco, preso atto delle intervenute prescrizioni, ha dichiarato il “non luogo a procedere” per quasi tutti gli imputati. Nel riportare la notizia, “Il Mattino” ha titolato: “Scorie tossiche dal Nord: assolti i 95 imputati”. E’ noto che prescrizione e assoluzione non sono sinonimi, tutt’altro; la prescrizione presuppone proprio la fondatezza dell’accusa e l’imputato, se ritiene di essere estraneo ai fatti, può dichiarare di non avvalersene, cosa che si sono guardati bene dal fare gli imputati nel processo in parola. Dal titolo dell’articolo, viceversa, il lettore medio è stato indotto a credere che i difensori degli imputati abbiano vinto la causa, proprio come in altri casi nei quali taluni giornalisti hanno ingenerato questa confusione di termini (processi Mills, lodo Mondadori, Andreotti, ecc.). Chi scrive quel processo lo ha seguito nella qualità di avvocato di parte civile, per conto di un’associazione. Non posso fare a meno di sottoporre a chi legge tre osservazioni. La prima riguarda la responsabilità del primo Giudice dell’Udienza Preliminare che, nel lontano 2004, per errore trasmise il processo a Napoli, stabilendo che il tribunale competente fosse quello partenopeo e non quello sammaritano e determinando, con l’inevitabile corollario di una mostruosa perdita di tempo, il prevedibile – fin da allora – esito del processo: quel giudice non pagherà per l’errore commesso, così come non ha pagato per l’analogo errore il GUP del Tribunale di Nocera Inferiore che, più o meno contemporaneamente, stabilì che doveva essere il Tribunale di Salerno a decidere sul maxi processo della “carne infetta”. E’ la stessa legge che, in questi casi, garantisce i magistrati irresponsabili. La seconda osservazione riguarda il secondo processo citato da Saviano, quello dei magliari, anche questo seguito dal sottoscritto: proprio quest’anno si è concluso in Cassazione con 31 condanne, segno che, talvolta, la giustizia in Campania è rapida. La terza – e ultima – osservazione, riguarda il merito di Cassiopea: come sarebbe stato importante quel processo, con il suo carico di responsabilità del Nord nel disastro ambientale del Sud, soprattutto in questi tempi di crisi dei rifiuti…

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