DEF 2011: per Lauro occorre spezzare la spirale economica perversa in cui è finito il Paese
ROMA – Intervenento al Senato in Commissione Finanze sul DEF 2011, il Sen. Raffaele Lauro (PdL) ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Il DEF è condizionato, oltre che dagli obblighi assunti verso l’Unione Monetaria Europea, dalla prioritaria esigenza di assicurare al tempo stesso stabilità finanziaria e crescita economica, e non avere una persistente stagnazione e precari riequilibri finanziari, dopo aver perduto nell’ultima recessione ben 6,5 punti percentuali di prodotto nazionale, quasi il doppio della media degli altri paesi dell’euro (-3,5%). Ad un’attenta lettura delle oltre 250 pagine di questo documento si rimane, tuttavia, con la sconsolante impressione che mentre il riassorbimento dei disavanzi di bilancio pubblico si potrà realizzare in ogni modo, anche con le misure episodiche (una tantum per intenderci), che verranno assunte (quali aste delle frequenze digitali, o blocco del turnover nel settore pubblico), per ottenere una significativa accelerazione della crescita, quest’anno appena all’1,1%, bisognerà solo sperare ed attendere, perché non è ancora alle viste, almeno fino al 2014.
In particolare, quella differenza in più di crescita che nel DEF si stima in 0,2 punti percentuali per anno come effetto delle riforme in cantiere, oltre a essere del tutto insufficiente per creare sviluppo ed occupazione, deve confrontarsi con l’impatto negativo, ad effetto immediato, dei tagli alla spesa pubblica primaria, previsti per il rientro verso il quasi pareggio di bilancio nel 2014. Per essere più precisi, la riduzione programmata della spesa primaria di ben 7 punti in termini reali tra il 2010 e il 2014 dovrebbe comportare secondo stime analitiche un rallentamento della crescita di circa 1,75 % nel periodo, ovvero molto più dello 0,2% di espansione annuale, che nel DEF si attende, fino al 2014, come risultato del Piano Nazionale delle Riforme. È quindi evidente che l’economia si dibatte in un circolo vizioso di tagli alla spesa che deprimono la crescita, rendendo a loro volta ancor più arduo il conseguimento dell’obiettivo fissato di disavanzo annuo in rapporto al PIL.
Come spezzare questa spirale da cui non si riesce ad uscire?
Il programma delinea un insieme di interventi che vanno dai tagli alla spesa pubblica all’ampliamento delle entrate, a cui fa da essenziale complemento PNR. Ma la combinazione di misure lascia perplessi sulla possibilità di raggiungere l’esito desiderato della manovra, perplessità rafforzate dall’esperienza deludente dello scorso triennio. Ne accenno alcune in particolare.
Considerando il lato delle spese, i tagli previsti appaiono ambiziosi, ma per coniugarsi con la crescita dovrebbero preservare quelle voci di spesa che sono essenziali per rafforzare il potenziale di sviluppo dell’economia. Si osserva, invece, che la spesa per investimenti pubblici si riduce, nel 2012, al livello del 2,8% del PIL, il minimo da decenni, mentre, dall’altro canto nello stesso DEF, si riconosce in diversi punti l’importanza di potenziare le infrastrutture e la logistica. E le riduzioni non risparmiano neanche il Mezzogiorno, in quanto, ad esempio, si tolgono alla dotazione del FAS, per il 2011, ben 242 milioni. Si aggiunga che al piano infrastrutturale non sono destinate nuove risorse, ma solo la messa in opera di meccanismi finanziari già avviati.
Altrettanto perplessi lascia l’attesa di risparmi di spesa per effetto del federalismo fiscale, quando si devono attendere ancora anni, perché si definiscano i parametri ed entri a regime.
Dal lato delle entrate, si pecca di eccessiva fiducia nel recupero di base imponibile per acquisire consistenti apporti di nuove entrate, mentre appaiono in contraddizione la dichiarazione di principio che la riforma fiscale deve ispirarsi al principio di progressività e l’intento dichiarato di spostare l’asse del prelievo fiscale verso le imposte indirette, che, come è noto, hanno un carattere di regressività fiscale. Si vedrà se e come si riuscirà a conciliarli.
Se la qualità della manovra di bilancio non è tale da sostenere la crescita almeno nel prossimo triennio, da dove dovrebbe scaturire la spinta all’accelerazione su cui il DEF conta? Da quali riforme?
Il campionario delle misure descritte in tabelle minuziose non ci soccorre, in quanto si tratta di provvedimenti o varati in passato con risultati finora molto modesti, o ancora da definire, pertanto con grande incertezza sui tempi di messa in opera.
Si conta in particolare su un incremento di produttività e di competitività, ma le misure a favore della ricerca ed innovazione non bastano per ottenere quel risultato ed, in ogni caso, come si riconosce nelle stesse note a piè di pagina del DEF, producono effetti modesti anche nel medio termine. La simulazione degli effetti attesi del PNR è, inoltre, molto aleatoria, perché non vi è certezza sui tempi con cui le riforme modificheranno l’attuale sistema economico, né sull’effettivo grado di miglioramento del contesto sfavorevole, in cui le imprese sono attualmente costrette ad operare.
Le imprese, in specie le medie e le piccole, hanno invece bisogno di sostegno fin dal breve termine per compensare la carenza di domanda interna (prevista anche nel DEF per il ristagno dei consumi), con una maggiore competitività per acquisire domanda estera ed anche per fronteggiare i danni che l’apprezzamento dell’euro sta apportando alla loro competitività. Le imprese necessitano specialmente un maggior apporto di economie esterne, derivanti dal potenziamento delle infrastrutture e dei servizi pubblici, un drastico taglio degli oneri amministrativi, un flusso di credito sufficiente, nonché un ribilanciamento degli oneri fiscali ed alleggerimenti dei costi energetici per allinearli su quelli dei maggiori concorrenti esteri. Su questi aspetti il PNR enuncia molte buone intenzioni, ma non è chiaro quanto intenso sia l’impegno che verrà effettivamente realizzato, proprio perché da molti anni si continua ad enunciare le stesse riforme, ma non si è giunti finora a un traguardo soddisfacente.
In conclusione, sembra ancora una volta che ci si occupi soprattutto dell’economia finanziaria, mentre passa in secondo ordine la strategia per l’economia reale. Eppure è ormai arrivato il tempo di focalizzare tutte le energie sull’economia reale per far ripartire la crescita, particolarmente nel Mezzogiorno, perché solo da essa verrà la migliore garanzia non solo che si interrompa l’impoverimento del Paese, ma che l’equilibrio dei conti pubblici sia duraturo e sostenibile. Ad oggi si può esprimere soltanto la speranza di un cambiamento di rotta che interrompa l’impoverimento del Paese, senza far saltare l’equilibrio dei conti pubblici.