Lauro (PDL): attenzione all’economia italiana
ROMA – In un momento di generale distrazione della classe politica e dell’informazione, questa mozione vuole rappresentare un richiamo alla realtà, un doveroso contributo di riflessione sullo stato dell’economia nazionale ed un invito al governo a sostenere ogni iniziativa, che consenta al paese di uscire dallo stallo attuale ed interrompere l’acquiescenza psicologica alla stagnazione, per fargli riacquistare competitività ed assicurargli un rinnovato sviluppo. Se si considera l’impegno verso l’Unione Monetaria Europea di abbassare il rapporto debito/PIL verso il 60%, si renderà necessario, ai ritmi di crescita attuali, anno dopo anno, introdurre manovre finanziarie dell’ordine di 48 miliardi, pari al 2,8% del PIL.
Stamane, al Senato, il senatore del PdL, Raffaele Lauro, membro della Commissione Affari Costituzionali, ha illustrato, nel dettaglio, un’articolata mozione di politica economica e finanziaria, presentata come primo firmatario, definendola: “In un momento di generale distrazione della classe politica e dell’informazione, un richiamo alla realtà, un doveroso contributo di riflessione sullo stato dell’economia nazionale ed un invito al governo a sostenere ogni iniziativa che consenta al paese di uscire dallo stallo attuale ed interrompere l’acquiescenza psicologica alla stagnazione, per fargli riacquistare competitività ed assicurargli un rinnovato sviluppo.” Poi, il parlamentare ha lanciato l’allarme sul macigno del debito pubblico, rispetto alle grigie prospettive della crescita economica: “Se si considera l’impegno verso l’Unione Monetaria Europea di abbassare il rapporto debito/PIL verso il 60%, si renderà necessario, ai ritmi di crescita attuali, dal 2014, anno dopo anno, introdurre manovre finanziarie dell’ordine di 48 miliardi, pari al 2,8% del PIL”. Il documento fotografa, nella prima parte, il quadro dell’economia italiana agli inizi del 2011 e le previsioni per l’anno in corso, confermando il crescente distacco dalle grandi economie europee e da quella americana: mentre l’economia italiana avanza secondo le migliori attese a un ritmo dell’1%, quella della Germania si espande al 2,1%, quella francese all’1,7%, quella dell’area dell’euro alla stessa percentuale (1,7%) e quella americana al 2,4%. Si approfondisce, pertanto, il divario con i nostri maggiori partner e, aspetto ancora più grave, si evidenzia che, nel 2009, il reddito pro-capite è arretrato (-2,3%) per il secondo anno consecutivo, collocandosi al 6 % al di sotto della media dell’area dell’euro. Nel complesso, due soli fattori sembrano fare attualmente da traino, gli investimenti fissi e le esportazioni, ma ad essi si contrappongono il debole andamento dei consumi privati, il più forte incremento delle importazioni rispetto alle esportazioni, segnale di una crescente delocalizzazione produttiva e di carenza di competitività in diversi comparti, e l’effetto della manovra finanziaria varata a dicembre, che dovrebbe sottrarre almeno mezzo punto percentuale alla crescita. Gli investimenti fissi stanno conoscendo un grande rimbalzo (+2,4%), ma si tratta semplicemente di un recupero parziale dopo il crollo del 23 % nel biennio della recessione economica. La vivace ripresa delle esportazioni (6,9%) è, invece, un elemento incoraggiante, ma, come sottolinea la Confindustria, è dovuto a una esigua frazione di imprese (1,5%) e riflette ampiamente lo stato di necessità in cui si trovano per sfuggire alla stagnazione del mercato interno. A questi ritmi di espansione economica ci vorranno almeno tre anni perché il PIL ritorni ai livelli pre-crisi, con la conseguente prospettiva di un lento assorbimento della disoccupazione, attualmente sulle punte più alte (8,7%). Il quadro della disoccupazione appare, invero, allarmante, considerato che è fortemente concentrata nelle regioni del Mezzogiorno e tocca soprattutto i giovani, che invece dovrebbero rappresentare il capitale umano su cui puntare per risollevare le sorti dell’economia nel medio periodo. Su queste grigie prospettive della crescita economica pesa come un macigno la necessità di ridurre il grave squilibrio esistente nella finanza pubblica. L’alto debito pubblico accumulato (118,5% del PIL) e l’attuale crisi europea del debito sovrano rendono oggi più arduo che nel passato finanziare il persistente disavanzo pubblico, e ciò senza considerare le difficoltà di rispettare l’impegno verso l’Unione Monetaria Europea ad abbassare il rapporto debito/PIL verso il lontano traguardo del 60%. Se si considera anche questo impegno, ai ritmi di crescita attuali, si renderà necessario introdurre dal 2014, anno dopo anno, manovre finanziarie di decurtazione del debito nell’ordine di 48 miliardi, pari a circa il 2,8% del PIL. L’entità di queste manovre potrebbe essere anche più profonda, se continuerà l’ascesa dei tassi d’interesse già in atto, che tende a portarli verso i livelli medi degli anni pre-crisi. In prospettiva, infatti, i tassi non potranno che aumentare, aggravando la spesa per interessi (4,9% PIL atteso nel 2011 contro il 4,7% nel 2010), in quanto i livelli attuali si giustificavano solo per contrastare la recessione, oggi superata. Naturalmente a questi rincari si aggiungerà lo spread sui tassi sui Bund tedeschi, che varia a seconda del mutare della rischiosità del debito italiano, quale è percepita dai mercati finanziari. Emerge chiaramente che negli anni avvenire la spesa pubblica in disavanzo non potrà svolgere un ruolo di traino della crescita verso ritmi sostenuti. In altri termini, non vi sono spazi per ricorrere al deficit pubblico come strumento per rilanciare la domanda interna ed accelerare la crescita. Ma questa constatazione non significa che il bilancio pubblico non possa avere un ruolo nel sollecitare l’economia, né che non lo possano avere appropriate politiche governative rivolte verso l’economia. Anzi, dover far crescere il PIL più di quanto cresca il debito significa in definitiva fare in modo che il bilancio pubblico in fase di risanamento abbia un effetto moltiplicatore sulla crescita del reddito di gran lunga più elevato che nel passato. In altri termini, occorre ottenere più crescita per ogni euro di denaro pubblico speso o prelevato. Per questo scopo il Governo dispone, in particolare, di tre strumenti preziosi: migliorare la qualità della spesa pubblica, contenere il peso del fisco sugli investimenti e sull’imprenditoria, e riformare il sistema economico in funzione di una sua maggiore competitività. Attraverso questi tre canali è possibile conciliare il rigore di bilancio con una più rapida espansione economica, perché i due termini non sono affatto inconciliabili, anche se il 90 per cento della spesa pubblica sembra avere un carattere obbligatorio. Sono infatti conciliabili se si interviene efficacemente sulle remore strutturali alla crescita e si orientano meglio le risorse pubbliche.
Nella seconda parte, il documento, presentato dal senatore Lauro, indica le iniziative ulteriori da intraprendere:espandere la quota di risorse destinata agli investimenti pubblici per quei progetti che sono in funzione di sostegno alla competitività del settore privato; bilanciare il carico fiscale tra investimenti, consumi ed export; convertire una parte del patrimonio pubblico improduttivo in nuove infrastrutture per la crescita attraverso la privatizzazione; lanciare un grande prestito nazionale, con una parziale garanzia pubblica, per realizzare un paio di grandi progetti d’investimento su importanti filiere industriali e con alta intensità d’innovazione; un salto di qualità per una effettiva semplificazione delle procedure amministrative per le imprese, attraverso un ridimensionamento delle autorizzazioni preventive e un rafforzamento delle penali in caso di violazione delle norme di sicurezza e tutela ambientale; un salto di efficienza di sistema, in particolare nei servizi sanitari attraverso la fissazione di incrementi di produttiva a parità di spesa; riformare i servizi pubblici locali e la gestione di infrastrutture essenziali (acqua, telecomunicazioni, trasporti, reti); riformare il settore dell’energia per abbassare il costo dell’approvvigionamento energetico per imprese e famiglie; snellimento delle procedure di diritto commerciale per accorciare i tempi della giustizia in materia di economia; creazione di poli di eccellenza produttiva, derivanti dal collegamento tra imprese e centri di ricerca; sostenere la presenza sui mercati internazionali delle PMI, la loro aggregazione in reti o filiere, anche internazionali e loro capitalizzazione. In essenza, la strategia consiste in tre motti: investimenti, soprattutto in campi innovativi; occupazione di qualità, specialmente in aree innovative; maggiore efficienza nell’operare del sistema economico. Il tutto, senza incrementare la spesa pubblica, ma riorientandola a supporto di investimenti, competitività e riforme. L’entità dell’impatto della manovra dovrebbe essere su base annua almeno di 1-2 punti percentuali di PIL, per compensare in buona misura l’effetto depressivo sulla domanda derivante dalla manovra di riduzione del debito pubblico.