Gaetano Mastellone: “La nostra Grecia si annida nei Comuni…”

 

Gaetano Mastellone

Chi ha autorizzato i Comuni, e gli enti locali, a investire in derivati? I derivati sono un terno al lotto e sono uno dei prodotti finanziari più rischiosi ed anche, in parte, l’origine della crisi economica del 2008. Con il meccanismo dello swap s’incassa subito denaro contante e se ne pagano in seguito le possibili conseguenze. E così un sindaco indebita il Comune su una scommessa che pagherà il prossimo sindaco! Sono tanti i comuni che li hanno “in pancia”, Napoli e Milano in testa. I “derivati” sono stati inventati dall’ingegneria finanziaria non molti anni fa e lo scopo non era certo quello di diffonderne l’uso presso la pubblica amministrazione. Invece è successo. E’ difficile non notare come l’impennata nel ricorso alla vendita di titoli derivati sia coincisa con la riduzione delle risorse pubbliche statali destinate alle amministrazioni comunali. Questi amministratori della politica li vogliamo continuare a definire ancora “amministratori”? Siamo nel terreno della super speculazione, roba da giocatori di poker! La rischiosità è elevata.  Secondo i dati comunicati da Bankitalia la pratica di acquisire liquidità emettendo titoli derivati è stato un fenomeno assai diffuso, la Corte dei Conti ha già lanciato segnali d’allarme. L´Italia è più a rischio della Grecia perché è l´unico Paese dell´Unione europea in cui gli enti locali hanno stipulato contratti di questo tipo. Ad esempio i dati Bankitalia presentati lo scorso anno al Senato alla Commissione Finanze hanno rilevato che, a fine marzo 2009, utilizzavano strumenti derivati quasi 500 Enti Locali: 13 Regioni, 28 Province e 440 Comuni. Non sarà un tantino rischioso? Il quadro è poco edificante perché molti comuni hanno fortemente investito in “scommesse complesse” – i derivati e affini – sui tassi d’interesse. Ora, si trovano in “profondo rosso“. Il recente coinvolgimento del Comune di Milano (non desidero parlare del comune di Napoli) è forse il caso più eclatante anche perché vi è un procedimento penale in corso; il comune stipulò nel 2005 uno swap trentennale su un bond bullet da 1,68 miliardi di euro in scadenza nel 2035. Il “caso Milano” è rappresentativo dello stato di preoccupazione che dobbiamo avere per la leggerezza con cui sono stati avviati questi contratti derivati. La prima dissennatezza è nell’origine stessa dell’operazione avviata dalla giunta Albertini nel 2005: con i tassi variabili al 2% (cioè ai livelli più bassi dal dopoguerra) l’indebitamento della città fu trasformato da tasso fisso a variabile, esponendo cioè il Comune a rischi futuri di rialzo dei tassi d’interesse. E ciò fu fatto allungando addirittura la scadenza del debito da 15 a 30 anni per un importo “monstre”: circa 3500 miliardi di vecchie lire. Anche chi non è esperto di finanza, avrebbe dovuto capire guardando al futuro, l’insensatezza di tale rischio. In realtà, forse, il futuro interessava a pochi perché la verità più vera di quell’operazione – a prescindere dai risvolti  penali che saranno affrontati nel processo – è che chi guidava la città colluse con le alchimie di una finanza creativa  che  proponeva liquidità immediata a fronte di restituzioni e di rischi da scaricarsi sui governi futuri. Il Comune di Milano nel primo triennio dall’operazione enfatizzò risparmi di 200 milioni di euro generati, omettendo però di ricordare che tale “risparmio” era  solo apparente perché il suo rimborso veniva scaricato sui sindaci e sui cittadini delle generazioni successive che saranno obbligati a  stringere la cinghia per restituire la liquidità che il comune aveva potuto spendere nel proprio mandato. In sostanza lo sbarco della politica meneghina nella finanza creativa ha comportato l’apertura di un rischio sul rialzo dei tassi d’interesse che penderà sui conti del Comune fino al 2035: ne sa qualcosa il Sindaco Moratti, che nel biennio scorso, ha dovuto assorbire  20 milioni di Euro di perdite sui derivati causate da repentini rialzi dei tassi d’interesse. Anche piccoli comuni hanno “operato in tale segmento”. Il Comune di Recanati, ad esempio, è costretto a svendere il proprio parco, sbarazzarsi di un asilo pubblico, ridurre gli aiuti d’assistenza agli anziani, a tagliare la manutenzione delle strade e lo stesso restauro delle antiche chiese. Gli esperti di finanza non si espongono sul “rischio a breve” di queste esposizioni piuttosto ingenti degli enti locali italiani, specie quelli più piccoli, ma avvertono che i problemi crescenti nei comuni fortemente indebitati e nelle province sono oramai vere e proprie “bombe a orologeria finanziarie“ che potrebbero portare al default. Chiaramente l’indebitamento locale, a sua volta, potrebbe avere ripercussioni sulle stesse finanze statali della nazione Italia. Gli analisti temono per le casse nazionali perché, al fine di salvare le amministrazioni locali, sono messe ulteriormente sotto pressione. E’ già avvenuto in Portogallo dove il governo centrale ha aiutato i suoi governi regionali a corto di liquidità. Questo intervento ha fatto aumentare il Debito Pubblico con la conseguenza che l’agenzia Fitch, il mese scorso, ha abbassato il rating del paese. Oggi ci stiamo spaventando e preoccupando per la crisi dell’euro ma, forse, la nostra “crisi greca” potrebbe saltare fuori dagli Enti locali. Insomma i vizi dei derivati, la leggerezza della finanza moderna e l’assoluta incapacità dei vari politici locali hanno rovinato la nostra italietta. Un contagio a ripetizione! Speriamo che ce la caviamo!

Articolo di Gaetano Mastellone – pubblicato su “Il Denaro” del 4 giugno 2010 

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