Quelli che restano… a fare i pastori
A New York, nelle sale del MOMA è esposta una delle tele della serie “Stati d’Animo” di Umberto Boccioni, s’intitola “Quelli che restano”, il pittore calabrese, esponente di spicco del Futurismo, voleva immortalare sulla tela lo stato d’animo di coloro che decidono di restare. Come metafora delle nostre esistenze adotta la silhouette dei passeggeri di una stazione ferroviaria, i colori che sceglie sono solo due: il verde e il blu. I viaggiatori che partono hanno corpi obliqui a sottolinearne il movimento, quelli che restano hanno invece linee verticali, rette inchiodate nel tempo e nello spazio. Questo è anche lo stato d’animo che coglie il turista che incontra Antonio Milo, il pastore del Sentiero degli dei, un ragazzone di 32 anni che ha deciso di restare nel tempo (sono quattro generazioni che la sua famiglia è votata alla pastorizia) e nello spazio quello del “Sentiero” per eccellenza della Costiera amalfitana, il cosiddetto “Sentiero degli dei”. Come nell’opera di Boccioni i colori che prevalgono sono il verde della macchia mediterranea e il blu cobalto del Golfo di Salerno. Per i pochi che ne ignorano l’esistenza aggiungo brevemente che il “Sentiero degli dei” è un bellissimo percorso di trekking che collega Agerola a Nocelle (percorso CAI n. 02, variante dell’Alta Via dei Lattari n. 00): cammino antichissimo che gli abitanti delle zone alte adoperavano per raggiungere i borghi e le cittadine costiere, per vendere formaggi, carni salate e i prodotti strappati alla terra con fatica. Il Primo maggio fa specie vedere Antonio seduto a mungere le proprie capre circondato da centennials e millennians che probabilmente un bicchiere di latte sono abituati a ordinarlo tramite un App scaricata sul proprio device, essi stessi sono i passeggeri di Boccioni descritti in un altro dei suoi capolavori dal titolo emblematico “Quelli che vanno”, che dal pennello dell’artista sono descritti come vortici colorati proiettati nel futuro. Eppure al contrario di quanto sottolinea l’idea del pittore futurista che vuole “quelli che restano” tristi e muti e “quelli che vanno” felici e fiduciosi, (tutto questo nel 1911 data di realizzazione delle due opere), ebbene centodieci anni dopo il più felice sembra proprio Antonio Milo, colui che resta. L’allevatore agerolese pascola le sue cento capre da anni, la sua “Casa del Pastore” è aperta a tutti, offre formaggi fatti da lui, un ottimo bicchiere di vino paesano, il silenzio della campagna è interrotto di tanto in tanto dalle tamurriate degli amici, si spacca la schiena ma è orgoglioso di come vive, è l’ultimo dei pastori della costiera. Nel casale che ha ristrutturato, un rifugio in pietra, conserva la memoria di un mondo che altrimenti sarebbe già solo rubricato come archeologia e civiltà contadina. Ci affanniamo da anni a parlare e programmare la green economy, quando sarebbe bastato “restare” nel senso di conservare il rispetto della memoria dei nostri padri; ci siamo invece lasciati sedurre dalle false promesse di altri modelli cosiddetti globalizzati, che non ci appartengono e il benessere lo destinano a pochi: oligarchi o miliardari che dir si voglia. Il sole nudo arrosa le rocce, come scrive Montale, con la mano callosa Antonio munge le proprie capre e continua a interpretare una favola antica, “l’ostinazione a vivere”, avrebbe scritto il salernitano Alfonso Gatto. Tutt’intorno il rumore della vita: il belato delle capre e il ronzare degli insetti, ancora un poeta: Sandro Penna. Forse si può essere “affamati e folli” anche restando al punto di partenza, lì dove al tramonto ad accendersi sono le stelle invece dei lampioni, e la sopresa di un bambino di fronte ad una capretta è ancora un momento di “non” trascurabile felicità. Buona Festa dei lavoratori.
Di Luigi De Rosa