L’housing sociale in penisola sorrentina è diventato solo un miraggio?
Il social housing possiamo scrivere che sulla carta si colloca a metà tra l’edilizia popolare e le proprietà private vendute o affittate a prezzo di mercato. L’obiettivo principale di questa edilizia sociale è fornire alloggi con buoni o ottimi standard di qualità, a canone calmierato, che non superi il 25%-30% dello stipendio. La maggior parte delle guide al social housing ci dicono che è caratterizzato da progetti di tipo sociale che hanno lo scopo di far nascere comunità e sviluppare l’integrazione, come ad esempio l’utilizzo di spazi e servizi comuni tra gli abitanti. Questo tipo di edilizia si rivolge a famiglie o coppie del ceto medio, che non possono permettersi una casa a prezzo di mercato, ma che hanno un reddito troppo alto per accedere all’edilizia popolare. In generale famiglie di lavoratori non assunti a tempo indeterminato, nuclei familiari a basso reddito, giovani coppie, anziani in condizioni economiche svantaggiate. In un momento di crisi economica come quello che stiamo vivendo, l’housing sociale, oltre a garantire l’alloggio a tutta la popolazione, rappresenta un vantaggio per l’intera comunità: combatte l’esclusione sociale e sostiene il mix sociale, persegue l’efficienza produttiva, affinché la qualità delle costruzioni nuove e di quelle ristrutturate sia la più elevata possibile, rappresenta un’opportunità per l’economia in generale e il settore immobiliare in particolare. Tutto questo sulla carta e in estrema sintesi. In Penisola Sorrentina l’edilizia di tipo “social” ha registrato due tentativi tutti e due bocciati dalla Magistratura. La prima esperienza, che è legata all’housing sociale di Sant’Agnello, è finita al vaglio dei giudici della Procura della Repubblica di Torre Annunziata che contestano l’abuso edilizio e il permesso a costruire rilasciato nel 2016. L’ultima debacle, legata sempre a un progetto di housing, in ordine di tempo è quella di un progetto che prevedeva la demolizione degli ex cantieri nautici “Apreamare” di Sorrento e la sostituzione di essi con un palazzo di otto piani ad uso residenziale, un’iniziativa presentata come housing sociale per favorire l’acquisto da parte di famiglie a basso reddito, ma che prevedeva anche la possibilità che i costruttori potessero vendere il 70% degli appartamenti (37 su 56) a prezzi di mercato. Contro questo progetto hanno presentato ricorso i fratelli Mario e Michele Apreda patrocinati dall’Avv. Francesco Saverio Esposito. La vicenda in sintesi. Nel 2017 il Comune di Sorrento aveva rilasciato il permesso a costruire ai sensi del “Piano casa” e in deroga al Put della penisola sorrentina. Lo stesso Comune dopo le perplessità sollevate dalle associazioni ambientaliste, nel 2018, revocò il provvedimento in autotutela, salvo poi rilasciare, dopo un paio di mesi, un nuovo permesso a valle di un parere positivo rilasciato dalla Soprintendenza emesso con procedura semplificata. Nel 2019 però il Tar Campania accolse il ricorso per l’annullamento dell’autorizzazione a costruire ed è di questi giorni una sentenza del Consiglio di Stato che conferma quella del Tar, tra i motivi della decisione presa dai giudici: incongruenze riscontrate in merito all’altezza degli immobili, alla forma del fabbricato rispetto a quello oggetto di demolizione, l’inesistenza di un piano attuativo e l’incompatibilità dell’intervento con le norme di tutela del put sorrentino amalfitano. In sostanza con queste due sentenze sembra sia stata posta la parola fine all’esperienza “housing sociale” in penisola sorrentina, almeno per come fino ad ora è stato provato a realizzarla.