Nel monastero di Monticchio profumi della costa sorrentina
Da “La Repubblica Napoli” del 14 Settembre 2024
“Resto in costiera per andare a visitare il monastero del Santissimo Rosario a Monticchio. La strada taglia un valloncello sul crinale della penisola e raggiunge la frazione che fa parte del comune di Massa Lubrense. Il borgo ha origine con la fondazione della chiesa di San Pietro nella prima metà del Duecento, poi rifatta nel Seicento.
Il Conservatorio del SS. Rosario è del Settecento, fondato per volere della napoletana Cristina Olivieri. È una storia al femminile. La pia donna partiva da Napoli e andava a Monticchio in villeggiatura. Negli anni raccolse le oblazioni per comprare due aree nei pressi della chiesa parrocchiale dove fondare il suo monastero. Dopo la benedizione della prima pietra posata con una croce scolpita nel luogo delle fondazioni dovette fronteggiare l’ostilità della popolazione che viveva in povertà. L’opera fu portata a termine con la determinazione di chi si è votata all’idea.
Cerco una chiave di lettura e lo trovo nella dimensione urbana e territoriale dell’insediamento. La chiesa di San Pietro costeggia la strada e ha la facciata sulla piazzetta. Dal lato opposto dell’invaso una stradina scende verso il monastero che sorge a mezza costa mentre la chiesa annessa è a una quota ancora inferiore ed è accessibile dal sagrato attraverso una splendida scalinata. Tutto l’insieme è un “sistema” che asseconda il suolo scosceso e il vuoto del chiostro si configura come cerniera centrale. Completano il sistema i parcheggi a quote diverse e un giardino di fichi sul lato della chiesa sul filo della falesia che digrada verso la piana sottostante.
Provo a disegnare la planimetria e viene fuori un brano. Entro nella chiesa di San Pietro e mi avvolge un odore di infanzia come le stanze chiuse nelle case delle nonne. Lo spazio si articola su una navata unica con quattro cappelle su ogni lato. C’è una cupola e l’abside e una luce radente che cola dall’alto e mette in risalto le scanalature delle paraste che decorano l’arcone verso l’altare. La piazza è assolata e cerco un’ombra sotto il fogliame di uno dei tigli presenti. Sulla facciata della chiesa si apre un portale in piperno tra due grandi basamenti dello stesso materiale su cui si innalzano due coppie di paraste. I risalti hanno un leggero colore azzurrino.
Mi avvio lungo la discesa che conduce al monastero. Ne costeggio il volume e il fianco della chiesa che ha un profilo mistilineo su cui si affacciano le sagome del transetto e della lanterna. Svoltato l’angolo la chiesa è chiusa ma posso ammirare il rampante strombato fino al pianerottolo da cui partono le due rampe ricurve. Provo a bussare all’ingresso del monastero e dopo qualche minuto mi apre una suora delle Immacolatine di Lourdes. È minuta e gentile e mi fa da guida. Nel chiostro i limoni e i roseti raccolgono il calore e la luce del sole. Una grande strelitzia è pronta per germogliare i suoi fiori simili al becco di un airone. I fiorellini gialli del tarassaco punteggiano la dicondra che ricopre le aiuole. Durante il percorso Suor Alberica mi mostra un pannello che rappresenta la Madonna dell’Immacolata attribuito quasi certamente a Ignazio Chiaiese.
Il famoso maiolicaro napoletano del Settecento divenne una specie di protettore del monastero dove le sorelle furono monache e la sua opera si configurò come un ex voto. Poi prima di arrivare all’ingresso della chiesa mi indica lo stemma, una brocca decorata poggiata su una mensola, un lavatoio. Il pavimento maiolicato accompagna il percorso verso l’altare mentre un pavone con la ruota dispiegata e l’altro con le penne racchiuse occupano il pavimento dei due corti bracci. La presenza dei maiolicari a Massa Lubrense è sempre stata fiorente e il flusso da Napoli alla costiera una solida linea di scambi culturali. La chiesa è a croce greca e le decorazioni barocche hanno la misura che si ritrova alla periferia del centro.
Nella controra arriva il cielo nero che a mano a mano ricopre ogni lembo di azzurro. E la pioggia. Le gocce cadono sui sassi delle spiagge, sull’increspatura del mare e sugli scogli. Dai cespugli si solleva un profumo di erba bagnata. È ora di rientrare.
di Davide Vargas