Francesco Saverio Esposito: “Quando da Positano si partiva per le Americhe”
Abbiamo il piacere di pubblicare un abstract dell’ultima fatica storico-letteraria dell’avv. Francesco Saverio Esposito che dovrebbe vedere la luce entro la fine dell’anno con la pubblicazione del terzo volume dedicato alla storiografia della Penisola Sorrentina e Costiera Amalfitana espressioni di un’eccellente, rinomata e affermata attività armatoriale e imprenditoriale in campo marinaro e che, con il lavoro di Esposito, restituisce alla cittadina di Positano una storia e una dimensione che vanno molto al di là della concezione strettamente turistica che da sempre identifica questo lembo di terra affacciato sul golfo di Salerno. E’ il racconto della storia di una terra e delle sue genti, assolutamente originale, ancorchè minuziosamente documentato sulla base di una ricerca faticosa negli archivi e nelle testimonianze d’epoca che fanno di questa pubblicazione un’opera unica nel suo genere.
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di Francesco Saverio Esposito
“Sto lavorando a un testo sulla Positano del ‘700 che spero di ultimare entro la fine dell’anno. La ricerca ha tratto spunto da un episodio apparentemente poco significativo: il matrimonio celebrato a Napoli, nella Chesa della Pietà dei Turchini nel 1795, tra un medico originario del Piano di Sorrento ma nato in città nel 1767, D. Pietro Maresca, e una positanese, D. Maria Teresa Buonocore che, benché originaria della cittadina della costiera amalfitana, vi era nata nel 1777. Fin dall’infanzia era dimorante nella capitale dove si erano trasferiti i genitori, D. Giovan Marino e D. Eugenia Rossi, all’incirca nel 1778. Questi occupavano – non sono riuscito a stabilire a quale titolo – un’ala del palazzo del Duca di Castro posto nell’area di S.Maria La Nova.
D. Pietro era l’unico figlio maschio di Michele Maresca, capitano di polacche (bastimenti a tre alberi utilizzati per traffici commerciali costruiti, nel corso del XVIII secolo, nei cantieri di Cassano o Alimuri) nativo di Carotto, ma dimorante a Napoli già dagli anni 60 del ‘700. D. Maria Teresa, invece, era la primogenita di un importante uomo d’affari che, benché di Positano, da giovanissimo si era stabilito in città. Qui, insieme ai fratelli Luca e Felice (alle donazioni dei tre fratelli Buonocore si deve l’edificazione di alcune delle cappelle interne alla Chiesa Parrocchiale di S. Maria dell’Assunta), vi gestiva rilevantissime attività commerciali e finanziarie. Gli interessi mercantili dei Buonocore e dei loro parenti acquisiti, i Rossi (al pari di molti altri mercanti di Positano, i Cucurullo, i Montuori, i Cinque, i Talamo, i Romito, i De Martino ecc..), si estendevano su gran parte dell’Italia Meridionale, in principale modo in Sicilia, a Palermo, Catania, Girgenti, Modica e Messina.
Letteralmente scavando, con la determinante collaborazione di Rosanna Gerardi, nei conti che questi uomini d’affari avevano presso gli antichi banchi pubblici operanti nella capitale del Regno (i registri sono conservati con estrema cura e ordine a Palazzo Ricca dove ha sede la fondazione del Banco di Napoli), in special modo su quelli del Banco S. Giacomo, è stato possibile ricostruire significative operazioni finanziarie che tanto i Buonocore quanto i Rossi, i Cinque e altri mercanti di Positano effettuavano non solo nel Regno, ma nell’Italia intera (con maggiore assiduità sulle piazze di Genova e Livorno) senza peraltro trascurare importanti piazze europee quali Londra e Amsterdam.
Oggi si è portati a vedere in Positano, al pari di Capri, Portofino, Taormina e altri similari e noti centri, una località volta a sodisfare le richieste di un turismo più elitario ma, probabilmente, si ignora (almeno io, confesso, lo ignoravo) che nel ‘700 la cittadina fosse prevalentemente dedita ad attività marittime, finanziarie e commerciali.
Anzi, proprio la vivacità di queste attività ne determinò, nella seconda parte del ‘700, un momento di grande prosperità economica testimoniata non soltanto dalla ricchezza architettonica di alcuni palazzi tardo barocchi edificati proprio in quel periodo, ma dalla stessa ricostruzione, avvenuta a partire dal 1780 circa, della chiesa madre di Santa Maria dell’Assunta. Un onere economico non certamente da poco di cui si fecero essenzialmente carico padroni di bastimenti e mercanti a sfoggio di una disponibilità economica notevolissima.
Ai fratelli Buonocore si deve la realizzazione degli altari in marmo (nello stile roccocò in auge nel periodo) che ornano la Chiesa Madre dell’Assunta.
L’incarico di eseguirli fu affidato ad un scultore livornese, Filippo Belliazzi, in quel momento particolarmente apprezzato a Napoli come in Puglia, a Massafra, a S. Angelo e in altre località.
Ad altri considerevoli uomini d’affari positanesi, Don Vito Rossi, Don Luigi Cinque, Don Salvatore Rossi, Don Luigi Montuoro, Don Saverio Romito, Don Giovanni Rossi e Don Clemente Talamo, si deve, invece, l’edificazione, intorno al 1794, sulle rovine di un preesistente edificio religioso, vicino al palazzo Rossi, della chiesa della SS. Annunziata oggi meglio nota come Chiesa Nuova. I lavori furono commissionati ad un mastro fabbricatore di Amalfi, tale Nicola Carrano.
Da cosa germogliasse tanta floridezza economica è l’interrogativo al quale ho cercato di dare, per quanto possibile, risposte fondate su dati certi. Tutte le notizie che saranno inserite nella pubblicazione sono state frutto di accurate ricerche effettuate presso archivi napoletani quali quello Diocesano, l’archivio della fondazione del Banco di Napoli, l’Archivio di Stato di Salerno e l’archivio della Chiesa Parrocchiale di Positano.
E qui devo soffermarmi per ringraziare il Parroco, Don Danilo, che mi ha fornito indizi e documenti rilevantissimi senza i quali la ricerca neanche sarebbe potuta partire.
Don Danilo, con estrema diponibilità e cortesia, mi ha procurato documenti da lui precedentemente visionati e studiati. Atti che si sono rivelati quanto mai utili in special modo per inquadrare le varie famiglie esistenti sul territorio della Regia Terra di Positano nel XVIII secolo.
Ripeto: senza tale determinante collaborazione difficilmente le ricerche che ho personalmente e con altri collaboratori effettuato avrebbero consentito di tracciare un quadro della realtà socio economica di Positano nel XVIII secolo quanto mai minuzioso e preciso.
E’ venuto così fuori che capitani e padroni di bastimenti positanesi, al pari di quelli della costiera sorrentina, inizialmente in prevalenza con feluche a due alberi costruite sulla stessa marina di Positano (credo che pochi conoscano dell’esistenza ivi di un cantiere navale tutt’altro che trascurabile operante sulla spiaggia grande proprio dinanzi alla chiesa di S.Maria dell’Assunta) e, poi, anche con tartane, pinchi e polacche (queste verosimilmente realizzate a Cassano o Alimuri) solcavano tutto il Mediterraneo non disdegnando, all’occorrenza, di uscire fuori dallo stretto di Gibilterra fino a raggiungere le Americhe o, anche, porti europei sull’Atlantico come Cadice, Lisbona o Londra.
La raffigurazione su piastrelle e dipinti di fine ‘700 della Madonna dell’Assunta affiancata a un bastimento con bandiera napoletana è la prova di quanto sto affermando.
Il segno evidente del rigoglio economico raggiunto dalla cittadina nella seconda metà del settecento è possibile coglierlo proprio nella spinta a ricostruire, dalle rovine della diruta chiesa romanica, quell’edificio tardo barocco che è la chiesa di Santa Maria dell’Assunta. Un edificio realmente notevole sia per dimensioni sia per arredi che richiese costi non indifferenti anche per i criteri di spesa dell’epoca.
Un’impresa inattuabile senza l’impiego di tempo e notevolissimi capitali.
L’articolazione interna del maggior edificio religioso positanese consente di affermare che quella di Positano, nel 700, fosse decisamente un’economia vigorosa e inizialmente fondata sui traffici marittimi.
Tuttavia già dalla metà del secolo presero avvio altre attività, commerciali e finanziarie, curate con estrema capacità da quanti avevano raggiunto floridezza economica come padroni marittimi. Nei nuovi ruoli di operatori finanziari e commerciali, i mercanti di Positano dimostreranno tanta avvedutezza da porsi su alcune piazze regnicole, in special modo su quelle siciliane e calabresi, in posizioni di assoluta primazia.
Le cappelle in cui si articola l’edificio religioso furono, quindi, tutte erette da padroni marittimi e, in particolare, la prima dedicata a S. Biagio dal Capitano Giuseppe Cocurullo nel 1780, la seconda dedicata all’Immacolata Concezione e la terza dedicata a S. Antonio di Padova dai fratelli Luca e Giovan Marino Buonocore, tra il 1780 e 1781, e così anche l’altare della quarta e ultima cappella dedicata a S. Anna.
Ovviamente questi e altri temi sono dettagliatamente trattati nel testo che sto ultimando. Lo scopo di questo breve saggio è quellodi richiamare l’attenzione su qualche episodio effettivamente considerevole e tale da lasciare intuire l’importanza commerciale e finanziare della cittadina in quel determinato arco temporale che va dal primo quarto del secolo XVIII al primo quarto del secolo successivo.
Si immagini che alcuni dei mercanti positanesi figurano in un recente testo (che tratta dei maggiori correntisti dei banchi pubblici nel XVIII secolo) curato dalla Fondazione del Banco di Napoli, come titolari dei conti bancari maggiormente movimentati.
L’esame in dettaglio, poi, di alcuni libri mastri consente di affermare che i Positanesi coltivavano rapporti d’affari con loro omologhi non solo italiani, ma anche inglesi, francesi, svizzeri, olandesi e tedeschi.
Di conseguenza si può affermare che a Positano, in un’epoca in cui l’analfabetismo riguardava oltre il 90% della popolazione regnicola, molti erano quelli in grado di leggere e scrivere (soprattutto documenti commerciali), gestire conti e curare personalmente i propri affari. Un dato, questo, difficilmente smentibile.
I positanesi non si contentavano di circoscrivere i loro interessi al Regno del Sud, all’Italia o all’Europa ma, in qualche caso, si spingevano fin nelle Americhe e, in particolare, nei Caraibi. Al proposito ritengo intrigante le vicende del capitano Lorenzo Rossi e di suo figlio Alessio.
Lorenzo era figlio di un Filippo Rossi a sua volta discendente da un Biagio Rossi. La storia di questa famiglia Rossi, probabilmente non autoctona di Positano, radicata in tutto il meridione, particolarmente in Sicilia a Palermo ma, anche, in Puglia a Gallipoli (vi risedeva un grande proprietario terriero, il barone Costantino Rossi) e Barletta e in Calabria a S.Eufemia, è veramente notevole. Nel testo di prossima uscita offro spunti piuttosto stimolanti anche per ulteriori ricerche.
Qui mi limito a raccontare l’episodio che ho tratto da alcun atti stipulati nel 1782 dal Notaio Lucantonio Tommasino a Positano (all’epoca Positano era sede notarile).
Ebbene Alessio al comando della polacca “Madonna di Positano” (al comando di questa nave e, forse, anche di un brigantino si alternava con suo figlio Lorenzo) più volte aveva attraversato l’Atlantico dirigendosi verso i Caraibi: così fece anche nel settembre del 1782 dirigendosi per la terza volta alle isole Vergini Occidentali, all’epoca possedimento della corona danese e oggi possedimento statunitense.
Il 10 settembre 1782 Capitano Alessio Rossi e suo figlio, capitan Lorenzo, stipulano innanzi al Notaio Lucantonio Tommasino una convenzione con mercanti di Positano e per l’esattezza con Don Luigi Cinque, Don Salvatore Rossi, Don Vito Rosi, Capitano Nicola Montuoro, Don Giuseppe Attanasio e Don Mario Talamo, tutti caratisti delle navi dei Rossi. I caratisti anticipano ai Rossi 10.500 ducati per acquisti di spezie da fare in America, verosimilmente nell’isola caraibica di Saint Thomas, e impegnano il capitano Lorenzo Rossi a stipulare una polizza d’assicurazione, per detto valore di 10.500 ducati, nella città di Marsiglia.
Si osservi come nel maggio del 1782 da Saint Thomas (una delle isole Vergini) era partito un altro bastimento di Positano (non ho notizie di chi fosse) carico di caffè, zucchero e altri prodotti tipici dell’area dei Caraibi.
Era cosa non propriamente infrequente in quest’ultimo scorcio del 700 che bastimenti provenienti dal Regno di Napoli raggiungessero per scambi commerciali l’isola di Saint Thomas. Le ragioni per scegliere questa destinazione erano ben precise.
L’isola, insieme all’altra, San Juan, dal 1752 possedimento danese (isole vergini occidentali danesi) era stata dichiarata porto franco per cui, in base al trattato di commercio stipulato dal regno di Napoli con la Corona Danese, vi potevano commerciare anche i napoletani.
Non così per altri approdi americani in possesso di potenze come Inghilterra, Francia, Spagna o Portogallo per accedere ai quali era indispensabile il visto della potenza coloniale. In assenza di tali autorizzazione non era consentito approdarvi ed effettuarvi le transazioni commerciali che avevano spinto al viaggio.
Sulla circostanza che non fosse così per altri scali del Nuovo Mondo, perché la potenza coloniale ivi dominante lo impediva, valga un episodio che mi è capitato di incrociare nel corso di precedenti ricerche svolte all’archivio notarile di Napoli e specificamente nei repertori del Notaio Giovan Michele De Lauro attivo nel Piano di Sorrento tra il 1748 e il 1756.
Il Notaio De Lauro nel corpo di un atto di divisione del 1749 relativo ai beni del cap. Vincenzo Maresca, giustifica l’assenza di uno dei condividenti, il cap. Francesco Maresca, affermando che lo stesso era stato impedito a prendervi parte perché in quel periodo in navigazione verso la Carolina, all’epoca una delle 13 colonie inglesi che andranno di lì a poco a formare gli Stati Uniti d’America.
Viaggio intrapreso partendo da Londra e previa autorizzazione della Corona Inglese. Addirittura, come emerge dall’atto del Notaio del 17 settembre 1756, l’entrata nel porto nordamericano era stata consentita solo dopo che sul bastimento carottese battente bandiera napoletana era salito un pilota di bandiera (inglese) che aveva sostituito il capitano Maresca nelle manovre necessarie all’attracco.
Ecco spiegata la ragione per la quale i capitani Alessio e Lorenzo Rossi sceglievano Saint Thomas come loro meta commerciale.
Prima della partenza si badò a sistemare nella stiva della polacca “Madonna di Positano” un carico variegato tra cui anche seterie prodotte in costiera (quasi certamente ad Atrani) con l’intento, una volta compiute le operazioni di sbarco delle merci nell’isola caraibica, di imbarcarvi prodotti commercialmente importanti come zucchero e caffè. La previsione che il viaggio di andata e ritorno potesse avere notevole durata rendeva indispensabile rifornire la nave di rilevanti approvvigionamenti di cereali e legumi che, però, l’Eletto del Popolo non intendeva concedere. Ciò comportò che l’autorizzazione a tal fine fosse richiesta e conseguita rivolgendosi direttamente al Governo di Sua Maestà il Re di Napoli.
Fatto ancora più curioso quanto attestato in un verbale stilato dal Notaio Lucantonio il 17 settembre 1782 prima della partenza per le Americhe.
Capitan Lorenzo Rossi, il 13 settembre 1782, aveva rilasciato a sei passeggeri biglietti per imbarcarsi sulla polacca “S. Maria dell’Assunta” al comando di suo figlio Alessio.
È ragionevole credere che questi li lasciasse sbarcare in alcuni dei porti che il bastimento avrebbe toccato prima di giungere in America o, forse, in America stessa. Uno dei passeggeri, tale Giovan Battista Salvati, è indicato come dimorante in Cadice (Spagna). Il che induce a ritenere che questa città della Spagna fosse l’ultimo porto europeo toccato dalla polacca “S.Maria dell’Assunta” prima di affrontare la traversata atlantica. Altro porto che certamente sarebbe stato toccato era Marsiglia dove, per l’appunto, era prevista la stipula di un contratto che assicurasse il carico.
L’episodio, uno dei tanti raccontati nel testo, dimostra quanto fossero intrepidi e dinamici padroni di bastimenti e mercanti di Positano in quello scorcio finale del XVIII secolo.
In un saggio storico curato con dovizia di particolari dallo storico Rosario Lentini di Palermo (Mercanti del Regno edito nel 2021) si afferma che dal 1750 i mercanti di Positano avessero sopravanzato nei traffici mercantili con la Sicilia i Vietresi proponendosi, dunque, come i più notevoli uomini d’affari sulle maggiori piazze commerciali dell’isola.
Non posso anticipare tutto il testo ma posso chiudere con un particolare che conferma quanto acutamente osservato da Rosario Lentini.
Nel corso dell’800 i discendenti dei Buonocore, ormai stabilmente dimoranti a Palermo dove svolgevano attività di banchieri, vi acquistarono ai Quattro Canti uno dei più importati palazzi cinquecenteschi della città oggi noto, per l’appunto come palazzo “Buonocore”.
Nel 1912 la moglie di uno degli eredi dei Buonocore, il banchiere Gaetano Buonocore, donò il palazzo alla Curia di Palermo. Oggi lo stesso, restaurato dalla Soprintendenza, è sede di un museo multimediale. Un ultimo necessario appunto.
Molti degli uomini d’affari di Positano, di sicuro i Buonocore e i Rossi, nel 700 vivevano stabilmente a Napoli o a Palermo e qui strinsero importanti rapporti con il modo politico dell’epoca. Basti osservare che i Buonocore, dopo l’avvento, nel 1806, di Re Giuseppe Buonaparte, seguirono la corte a Palermo.
A Napoli o a Palermo i ricchi positanesi avevano l’opportunità di fare vita mondana e di frequentare la buona società cittadina.
La diaspora dopo i primi decenni dell’800 verso Napoli, Palermo o Catania di questa considerevole borghesia credo dovette ripercuotersi sulla struttura non solo economina ma anche sociale di Positano.
Non vado oltre augurandomi di aver ingenerato la curiosità di leggere il testo che pubblicherò, almeno questo è l’auspicio, a mesi. Sto pensando ad un titolo come “In viaggio da Positano e dal Piano di Sorrento a Napoli e Palermo a fine 700″.