Corte dei Conti, Sanità: gestione delle Regioni in tenuta finanziaria ma con ampi divari territoriali
ROMA – Nel biennio 2020-2021 la spesa sanitaria è in aumento, soprattutto in virtù degli effetti pandemici. L’Italia continua, tuttavia, a spendere meno dei partner europei, pur reggendo il confronto nell’efficienza. Le maggiori risorse impiegate nella Sanità hanno interrotto il trend decennale di contenimento della spesa nel settore, con prospettive di ritorno ai livelli pre-pandemia, ma sono ancora ampi i divari tra le Regioni.
E’ quanto afferma la Corte dei conti nel Referto, approvato con Delibera n. 19/SEZAUT/2022/FRG, che la Sezione delle Autonomie ha presentato al Parlamento sulla gestione finanziaria 2020-2021 dei servizi sanitari regionali. Una gestione prudente, ha osservato la magistratura contabile, inizialmente caratterizzata da importanti percentuali di accantonamenti delle risorse aggiuntive per fronteggiare l’emergenza pandemica.
Secondo le analisi della Corte, il biennio 2020-2021 ha segnato una netta rottura di “trend”, con una spesa sanitaria che, se si include il 2022, è cresciuta mediamente del 5%: oltre tre punti in più rispetto all’1,3% del valore medio del quadriennio pre-pandemico. In valore pro capite percentuale e a parità di potere d’acquisto, la spesa sanitaria è cresciuta, nel solo esercizio 2020, dell’8,4%. Una crescita consistente e, tuttavia, inferiore a quella di Regno Unito (20,2%), Germania (9,7%) e Spagna (9,5%), ad eccezione della Francia (5,0%). Gli effetti della pandemia non sono limitati ai maggiori costi, ma riguardano anche la riduzione della domanda e della fruizione di servizi sanitari già finanziati, per via delle restrizioni alla libertà di movimento, determinando costi cessanti di cui occorre tener conto.
I risultati delle Regioni “in piano di rientro” – prosegue la Corte – sembrano relativamente migliori e mostrano una riduzione da 2,1 a 0,7 miliardi di euro dei disavanzi dei servizi sanitari tra il 2012 e il 2020 (con qualche segnale di peggioramento nel 2021), e indicherebbero un positivo sviluppo gestionale, già maturato con la “spending review” 2012-2019. Il risanamento finanziario, inoltre, non sembra essere avvenuto a scapito dei LEA (migliorati costantemente almeno fino al 2019, tranne limitate eccezioni) ma sono ancora significative le differenze geografiche nei servizi territoriali, come quelli per le cure palliative ai malati di tumore, il numero di anziani non autosufficienti in trattamento socio-sanitario e l’assistenza domiciliare integrata. La riduzione del volume delle prestazioni sanitarie, puntualizzano i giudici contabili, è stata generalizzata in tutte le Regioni italiane, con un numero delle dimissioni ospedaliere sceso, in media, del 20% sul 2019, con tassi inferiori nel Nord-est (17%) e maggiori al Sud (25%).
Sul versante investimenti, a causa dell’insufficiente volume di risorse assegnate, il valore della dotazione di capitale del SSN registra un calo riferito al periodo 2013-2019 pari all’8,2% (da 84 a 79 miliardi di euro), con un dato 2021 dei pagamenti per gli investimenti fissi lordi degli enti del SSN (2,3 miliardi) che mostra, invece, una crescita del 41,8% rispetto al 2019 (1,6 miliardi) e un valore pro capite in aumento dai 26,7 euro dello stesso anno ai 36,6 del 2021. I pagamenti su base regionale evidenziano scostamenti significativi tra le diverse realtà territoriali (il valore medio nazionale è di 29,8 euro nel 2020).
Nella composizione della spesa sanitaria 2008-2019, si riduce quella da lavoro dipendente (in calo dal 34 al 31,7%), risentendo del blocco del turn over e delle altre misure di contenimento delle dinamiche retributive, particolarmente stringenti nel periodo 2012-2019. Risultano invece in aumento i consumi intermedi dal 23,1 al 30,2%.
Nel 2020, le Regioni in piano di rientro hanno ridotto il disavanzo sul 2019 del 59% circa, quelle non sottoposte a piano di rientro del 34% e le Autonomie speciali (esclusa la Sicilia, inserita tra Regioni in piano di rientro) del 19%.
Emerge un nuovo fenomeno legato all’impiego di strumenti flessibili e transitori per dotarsi rapidamente di personale nel periodo emergenziale, anche attraverso prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie acquistate come servizi sanitari. La Corte ha rilevato, in merito, che il costo del personale “emergenziale” nel 2020 cresce in quota inferiore rispetto all’acquisto di servizi sanitari. I servizi sanitari per l’emergenza rappresentano il 19% del totale della spesa per “Consulenze, collaborazioni, interinale e altre prestazioni di lavoro sanitarie e sociosanitarie” dell’esercizio, con punte superiori al 50% per il Molise e con valori del 32% circa per la Sicilia, del 29% per la Puglia e del 26% per Calabria e Abruzzo. Si nota infine, sul versante opposto, una difficoltà a coprire le posizioni stabili in organico, sintomo di una certa disaffezione all’impiego pubblico in sanità. Si tratta di un fenomeno – conclude la magistratura contabile – che necessita di essere attentamente valutato e richiede di mettere a punto interventi strutturali in sede di programmazione.