Vincenzo Romano, il racconto di una vacanza in Croazia nell’era del covid
E il ventesimo giorno si riposò. Le ferie sono un diritto ed anche un dovere per cui vanno fruite. Ora, di questi tempi, il dibattito si incardina su dove trascorrerle e allora eccoci qui, a raccontare le nostre.
L’auto stracarica viene messa in moto un venerdì pomeriggio, sul presto, per evitare code, direzione nord, destinazione confine di stato all’altezza dell’abitato di Basovizza e, di lì, in Croazia: isola di Veglia (Krk).
Sono mesi che si leggono i bollettini, che si seguono le istruzioni di Governo e Regione, che si fa il “tifo” per l’abbattimento significativo di casi attivi da covid e dei decessi e tutto per poter fruire, in apparente serenità, della meritata pausa estiva.
Abbiamo fatto tutto seguendo alla lettera le disposizioni di prevenzione sia nazionali che croate. Abbiamo compilato in ogni sua parte il documento di accesso in un Paese di area Schengen con tutti i nostri dati personali, il periodo di soggiorno, la località e la casa vacanze dove stazioneremo.
Al seguito, insieme al necessario per trascorrere le vacanze, anche una cospicua scorta di mascherine, gel disinfettante.
L’asfalto scorre veloce. Passiamo Bologna, poi Padova, Venezia e infine Trieste. Poche auto in movimento ma tantissimi autocarri, zero code.
Giunti che siamo al confine troviamo la prima novità: un posto di controllo della Polizia di frontiera slovena. Riteniamo sia per un controllo dei titoli di viaggio volti all’accertamento della destinazione e controllo della temperatura ed invece basta mostrare le carte d’identità per scorrere via senza ulteriori pratiche, senza alcun precetto o indicazione di sorta.
La sosta in territorio sloveno si svolge col rituale rodato da anni: sosta al duty shop per comprare sigarette e sigari, fare carburante (estremamente conveniente rispetto all’Italia) e sosta all’usuale locanda per consumare la cena a base di maialino cotto sulla brace.
Allo shop, al distributore e in locanda tutti indossano, come peraltro noi, la mascherina. Nessuna novità, nè stringente nè lassista, rispetto all’Italia. Siamo abitudinari dell’Istria Dalmazia ed anche stavolta ci siamo sentiti a casa.
Il successivo step è uno dei numerosi cambia valuta che popolano la statale dove scambiare euro contro Kuna (moneta locale croata) ed anche qui tutto si svolge secondo copione: personale con mascherina calzata e guanti, gel disinfettante all’ingresso, una uscita diversa rispetto al vano di accesso.
Ci vuole poco per percorrere il piccolo tratto che ci porta alla nuova linea di confine. Il morale è alto e la curiosità di quanto troveremo al posto di controllo tanta. Il doganiere immette la mia carta d’identità in un lettore e passiamo agevolmente.
Poco dopo un’ora attraversiamo il ponte che collega la terraferma coll’isola di Krk, golfo del Quarnaro. Mare cristallino, strade ben tenute e con traffico scorrevole, scogliere e paesaggi che ricordano le nostre regioni costiere tanti anni fa.
Prima dello scoppio della pandemia avevamo scelto la cittadina di Maliska come nostra sede per i sui locali fatti di botteghe di souvenir, generi alimentari e bar, pub, pizzerie e ristoranti con cucina locale e mediterranea che si snodano lungo il porto turistico.
Il porto quale centro di aggregazione è un gioiellino, dato comune con tutte le altre località dell’isola: i moli larghi su cui si può passeggiare comodamente hanno tutti i posti barca serviti da energia elettrica ed acqua dolce e bidone per la raccolta rifiuti, la pulizia dei luoghi è quasi maniacale, in perfetto stile teutonico, il parcheggio anche se affollato è immediatamente fruibile.
La babele delle auto in sosta sono un caleidoscopio di targhe. Oltre a Croazia, tantissima Germania e Slovenia, ma si trova anche tanta Austria e Paesi Bassi oltre che Britannici e, naturalmente, Italia.
Mentre, con mascherina indossata secondo le istruzioni, solchiamo le famiglie a passeggio e guardiamo i tavoli affollati con gli inservienti che saettano tra di essi come ninja, noto poche mascherine indossate (sono gli Italiani), allora ritorno con la mente ai decisori politici di tutti questi Paesi che nel mese di marzo ci chiamavano untori e che a maggio bloccavano tutte le attività, ma faccio finta di non comprendere i loro sberleffi e di non notare i risolini ironici che rivolgono al nostro indirizzo.
Passa nemmeno una settimana trascorsa tra tuffi, bagni di sole, natura e buon cibo che dall’Italia arriva la notizia che la Croazia è inclusa, per la prima volta dal manifestarsi del covid in Europa, nell’elenco dei Paesi a rischio.
La calma e la relativa spensieratezza nonchè la serenità dello scorrere dei giorni tra mare e piscina e mojto e grigliate di pesce sono irrimediabilmente compromesse.
Intensifichiamo le norme di igiene personale, scegliamo con attenzione il tratto di mare in cui fare il bagno facendo attenzione che lo stesso sia poco frequentato, cominciamo a tempestare di telefonate il Consolato Generale di Fiume, consultiamo freneticamente i siti istituzionale e regionali, parliamo con vari interlocutori e le risposte sono per il momento molto vaghe. Finalmente, dopo ferragosto, riusciamo a farci un quadro della situazione: in Croazia, a pagamento, si può effettuare solo l’esame sierologico in una sola struttura privata in Fiume, i tamponi vengono fatti solo a chi ha i sintomi (febbre alta e difficoltà nella respirazione), ci prefiggiamo di effettuare il tampone rinofaringeo una volta raggiunto il territorio nazionale confidando in un punto di prelievo alla frontiera ed in alternativa compiliamo la modulistica e interessiamo il Servizio Sanitario della Regione Toscana oltre che per via telematica anche per via telefonica.
Il restante delle ferie passa così: nell’incertezza e nell’attesa. Tutto diventa più grigio ed insapore.
Nessuno di noi avverte alcuno dei sintomi, ma viviamo nel terrore dell’asintomaticità.
E, poi, venne il venerdì del rientro. Facciamo i bagagli e carichiamo l’auto in un misto di speranza ed incertezze e rifacciamo il tragitto al contrario.
Anche questa volta nessun controllo della temperatura a nessuna delle dogane croata e slovena, confidiamo in un posto di controllo al confine di Basovizza nel “previdente” Friuli Venezia Giulia come annunciato dal “solerte” presidente di regione Fedriga.
Il tricolore e la cartellonistica annunciano l’approssimarsi dell’Italia, ma davanti a me vedo lo stesso desolato paesaggio degli ultimi anni.
Nessun finanziere, poliziotto, carabiniere nè, tanto meno, una struttura da campo o un camice bianco di un infermiere o medico.
Nessuno sa di noi e di chi ci precede e segue. Nessuno è interessato a chi entra e come entra. Mentre supero la casermetta abbandonata della finanza, con la sensazione di trovarmi nell’occhio di un ciclone, squilla il telefono: il servizio territoriale della toscana ha avuto le nostre segnalazioni ed ora era pronto a sottoporci al test, giusto il tempo di arrivare a casa e di scaricare i bagagli.
Quella sera ci siamo ritrovati in un enorme spiazzo in una delle sedi delle organizzazioni di volontariato di Firenze attorniati da persone in tute monouso con guanti, mascherina e paraschizzi come saldatori.
Ci sottoponiamo volentieri alla fastidiosa prova ed iniziamo la nostra quarantena in attesa dell’esito che arriva solo nella tarda serata di lunedì (di sabato e di domenica non si processano campioni se non di ospedalizzati o soggetti con gravi sintomi).
L’esito ha l’effetto liberatorio per riprendere le quotidiane attività, ma non di fugare il convincimento che:
– la sars cov2 continua ad esistere e circolare
– non serve recarsi all’estero per infettarsi
– la carica virale è ancora forte
– l’unico mezzo per non contagiarsi o contagiare è di rispettare il distanziamento sociale, igiene delle mani e del viso, indossare la mascherina correttamente e sempre quando si viene a contatto con persone estranee al proprio domicilio anche se familiari o parenti
– ignorare la possibilità di diffusione è follia
– la mamma degli imbecilli è sempre incinta.
di Vincenzo Romano