Il rischio è di “cambiare tutto perchè non cambi nulla!”
Recovery found…sì, MEF…no, sussidi…forse. Si alza per l’ennesima volta il sipario della divisione e contrapposizione. E’ una rappresentazione comica che sfiora il ridicolo se non fosse che si gioca sulla pelle delle persone.
Negli anni passati le iniziative di austerity hanno proceduto al taglio dei costi vivi sulla sanità e sull’istruzione senza mai procedere ad una reale ristrutturazione e razionalizzazione dei servzi offerti. L’ennesima opera incompiuta, così come la A3 (la Salerno- Reggio Calabria) o la A13 (Messina-Palermo).
Poi arriva un’epidemia di un virus sconosciuto e, allora, si procede per tentativi. Prima: è poco più di una influenza; poi: è un morbo mortale che intasa le terapie intensive e i servizi cimetariali e di cremazione. Conclusione: tutti fermi, tutti chiusi in casa, appelli continui a non uscire, le serrande rimangono abbassate, i palazzetti dello sport e le palestre vuote. Gli epidemiologhi riempiono gli schermi e le pagine dei giornali, anche quelli patinati. Gli statistici, di cui non si è mai sentita una qualche concreta utilità pratica, snocciolano dati, ipotesi e sviluppi, dimenticando l’aurea regola della scienza di cui sono profeti: la bontà dell’universo statistico e la sua attendibilità.
Nel corso del trimestre marzo-maggio ci si abbevera al numero dei tamponi effettuati, sempre troppo pochi in relazione alla popolazione e mai chiari (non un tampone a persone ma anche tre o quattro allo stesso soggetto). Seduti sul divano di casa seguiamo distaccati, come avvenne per il primo bombardamento di Bagdad, le comunicazioni giornaliere del prof. Locatelli con la certezza che il fenomeno covid non ci potrà mai toccare. Ma dopo maggio arriva giugno. Gli albergatori fremono, i dispensatori d’intrattenimento premono e ‘o sole coce ‘e chiocche.
Se i numeri dei morti sono andati via via calando, se le terapie intensive via via si sono svuotate, se sono stati posti in essere terapie intensive e, addiritttura, ospedali interi in epoca emergenziale, allora è il momento del libera tutti.
Se il governo centrale oltre alle misure di sussidio per tutti e l’atteggiamento questuante cappello in mano in Europa rimane immobile e non riesce nemmeno ad immaginare un piano di sviluppo nazionale, gli organi locali vengono assaliti da manie di protagonismo.
Sindaci e Presidenti di provincia e regione invocano, minacciano l’uso di “lanciafiamme” imponendo quarantene, ponendo barriere sulla sola scorta del principio di appartenza territoriale, limitando la fruizione di beni e servizi pubblici ai non locali.
Come detto in principio, l’è tutta roba da ridere e questo solo perchè la funzione biliare non è ottimale e le lacrime sono finite.
A giugno il Napoli del pallone vince la coppa Italia e si festeggia in piazza come nulla fosse accaduto. A luglio tocca alla juventus e le scene sono le stesse di sempre anche se con un numero ridotto di partecipanti, il tutto inframezzato dalle immancabili manifestazioni di protesta, nessuno sa perchè, perchè chi sa per come, e bagni di folla giubilanti dei messia del “ci stanno prendendo in giro ma noi no”.
Papa Francesco aveva auspicato un cambio in meglio dell’umanità in un frangente tragico come quello vissuto ed anche lui è rimasto deluso.
Non siamo cambiati. Siamo noi quelli che chiedono lo stato d’emergenza per succhiare risorse che potrebbero andare ad alleviare le difficoltà degli altri. Siamo noi che continuiamo a mettere otto ragazzi in vacanza in una stanza di appartamento. Siamo noi quelli che fittano seconde case a prezzi stratosferici. Siamo noi che impieghiamo mano d’opera sistematicamente in nero. Siamo noi che ci lamentiamo dell’orda nera che si riversa sulle nostre coste e isole salvo poi farle fluire nei canali della clandestinità e dello sfruttamento nei campi.
Allora ci si indigna perchè chi dà denari vuole sapere perchè e come vengono spesi.
Non è la cessione di sovranismo o di autodeterminazione a creare scompiglio bensì l’essere costretti a progettare seriamente il proprio futuro. Siamo spaventati del giudizio che gli altri in quanto creditori possono, a ragione, formulare su di noi ed il nostro operato.
In attesa della resa dei conti con la realtà le sirene della informazione e contro informazione sbraitano di riforme epocali (quota100, reddito di cittadinanza, taglio dei seggi in parlamento, eliminazione dei vitalizi, revisione delle concessione autostradali) salvo poi fermarsi al primo passo senza aver la forza, o meglio, la convenienza a procedere.
Flat tax ed altri sgravi fiscali possono attuarsi in un Paese normale ma il nostro di normale ha ben poco a che vedere. Si passa da una emergenza ad un altra promettendo cambiamenti di rotta che mai ci saranno e intanto l’ex ILVA rimane in stand by, il carrozzone Alitalia continua a succhiare miliardi in eterna perdita, le strade sono una groviera di buche, le auto continuano a circolare senza bollo, revisione e assicurazione, le scuole rimangono stive di classi pollaio senza docenti.
Eppure dobbiamo essere contenti per avere il bonus vacanza, il monopattino e l’auto elettrica, i banchi semoventi, se poi mancano i parcheggi, se anche per un fitto occorre un mutuo, se anche i carabinieri delinquono, mentre i finanzieri e i poliziotti, per l’opinione pubblica ,già lo facevano, se permettiamo a quisque de populo di dire che non servono l’ordine e le leggi se cozzano contro il proprio tornoconto, se applaudiamo chi oggi dice una cosa e domani l’opposto, meritiamo lo sberleffo e la gogna dei cosiddetti Paesi frugali.
L’estate passerà tra il fumo delle dichiarazioni di green economy, di rivoluzione digitale, il fumo delle grigliate e fritture di pesce, l’odore pungente dell’asfalto fresco, di promesse di assegnazione di cattedre per poi arrivare a settembre e constatare che nulla è cambiato e che torniamo nei seggi elettorali a scegliere i propri rappresentanti e come i capponi manzoniani ci accalorememo nel pretendere il cambiamento nell’uno o nell’altro senso per, poi, finire come prospettato nel Gattopardo: Cambiare tutto affinchè, tutto, rimanga uguale E anche questa volta mancò il coraggio e la voglia di fare.
di Vincenzo Romano