Balene salvateci da noi stessi!
Maddalena Jahoda, biologa e divulgatrice scientifica, è autrice di un libro “Balene salvateci!”, edito in Italia da Mursia, che, leggendolo si è rivelato una vera sorpresa per contenuti e tecnica espositiva di temi ambientali fondamentali. I cetacei sono molto più simili a noi di quello che crediamo. Stringono legami che durano tutta la vita, la “cultura” di un gruppo è tramandata da madre in figlio, soffrono per la morte di un compagno o di un figlio, ricordano rotte e luoghi etc. Le loro storie assomigliano alle nostre e spesso si intrecciano con quelle umane, come spesso sottolinea nel libro Maddalena Jahoda, che da decenni è impegnata nella tutela degli animali e dell’ambiente. La sua divulgazione scientifica è appassionata ma rigorosa, ricorre allo storytelling che rende le balene , i delifini, le orche protagonisti intriganti di un mondo ai più sconosciuto e spesso con cambio di prospettiv fa “parlare” direttamente queste splendide creature. Ma veniamo al dunque, perché le balene possono aiutarci nella lotta ai cambiamenti climatici? Il discorso è lungo e articolato, in questa sede, cercherò di fornirvi i concetti chiave anche per non togliervi il gusto di leggere un libro così bello. Le balene sono in grado di determinare l’assorbimento di enormi quantità di CO2, contrastando l’aumento delle temperature globali. Proteggere le grandi balene non è solo fondamentale per evitare la scomparsa di queste creature, è anche indispensabile nella disperata lotta ai cambiamenti climatici. Questi cetacei fornirebbero infatti un servizio ecosistemico inestimabile (che può valere milioni di dollari per balena, se proprio vogliamo essere venali, visto che spesso la nostra specie si “smuove” solo per interessi economici): sono in grado di sequestrare grandi quantità di carbonio dall’atmosfera, contribuendo a contrastare il riscaldamento globale. Ma come riuscirebbero le balene a salvarci? Il segreto è nelle loro feci. Già. Non storcete il naso, che in fondo il lavoro sporco lo fanno loro e il fitoplancton. Questi mammiferi marini si alimentano spesso in profondità e defecano in superficie e i pennacchi fecali che rilasciano, ricchi di ferro e azoto, sono in grado di fertilizzare il fitoplancton, ovvero il plancton vegetale, nelle zone eufotiche, favorendone la crescita. Proprio il fitoplancton gioca un ruolo cruciale nella regolazione del clima poiché assorbe l’anidride carbonica e, al termine del suo ciclo vitale, sprofonda negli abissi, trascinandosi dietro il carbonio. Questi microscopici organismi catturano ogni anno circa 37 miliardi di tonnellate di CO2, circa il 40 per cento di tutta quella prodotta. Se diminuisce la produzione di plancton sempre meno carbonio verrà “stoccato” nell’oceano profondo. Il volume del fitoplancton nel corso del Ventesimo secolo ha subito un drastico declino, a causa dell’aumento delle temperature globali, ancora più accentuato laddove le balene sono state cacciate più pesantemente. Le balene, secondo uno studio pubblicato su Nature, sarebbero inoltre in grado di fare in modo che il plancton resti in circolo nelle acque superficiali semplicemente immergendosi, tramite la forza di miscelazione causata dai loro movimenti, e migrando. La stupefacente quantità di anidride carbonica sequestrata dal plancton, le cui sopravvivenza è legata a quella delle balene, è paragonabile, secondo gli autori dello studio del Fondo monetario internazionale, a quella di quattro foreste amazzoniche e settanta volte superiore a quella assorbita dalle colossali sequoie dei parchi statunitensi. Ecco perché proteggere le balene vuol dire salvare noi stessi.
di Luigi De Rosa