“Covid-19…Il Paese che verrà/3”: Mario Esposito

mario-espositoQual è stato e soprattutto quale sarà l’impatto dell’emergenza covid-19 sulle attività culturali nel nostro Paese e sul ricco e variegato universo rappresentato da enti, fondazioni, associazioni e sodalizi che l’animano? Ne parliamo con il dottor Mario Esposito, promotore culturale e giornalista, patron della kermesse artistico-culturale “Premio Penisola Sorrentina Arturo Esposito”, tra gli eventi più qualificati in Campania tanto da assurgere a una dimensione nazionale e internazionale grazie al dinamismo e alla visione strategica con cui Esposito propone l’offerta culturale in una dimensione di attrattore turistico.

Dottor Esposito, anche lei è in quarantena per il covid-19. Uno stop forzato alle sue attività che, svolgendosi in tutt’Italia, comportano la necessità di muoversi, di spostarsi per incontrare persone e interfacciarsi con le istituzioni. Come vive questa innaturale dimensione?

“Sto conducendo il mio viaggio di quarantena. Parlo di “viaggio di quarantena” invece che di “isolamento” di quarantena, per evidenziare il carattere dinamico che un periodo del genere, pur nella costrizione dell’essere fermi a livello spaziale, continua ad avere. Il viaggio dentro di noi non ha mai sosta, anche e soprattutto in una condizione come quella che purtroppo stiamo vivendo. L’uomo interiore continua a viaggiare. E la solitudine è l’occasione per preparare nuovi spazi di accoglienza”.

Come trascorre un uomo di cultura che sta sempre in movimento queste giornate di “clausura”?

“Mi ha accompagnato in questi giorni la lettura di un libro di poesie di Andrea Zanzotto, particolarmente indicato per il periodo che viviamo. Si intitola: “Pasque”. Zanzotto fu uno dei più grandi poeti che ebbi il piacere di conoscere, purtroppo, solo al telefono. Ebbi il suo numero telefonico dal critico letterario Giuliano Manacorda, uno dei principali esponenti della sinistra intellettuale. “È difficile che ti risponda”, mi avvertì l’illustre professore che aveva insegnato storia della letteratura italiana alla Sapienza. Il poeta non rispondeva quasi mai a nessun giornalista. Viveva in un “viaggio solitario”, nella casa di Pieve di Soligo, tra intuizioni geniali e lucido delirio. Era vivo mio padre Arturo ed io mi occupavo, allora giovinetto, di prendere i contatti con i poeti più importanti del Novecento, così da invitarli a Piano di Sorrento nella fase esclusivamente, o comunque prevalentemente, poetico-letteraria del Premio “Penisola Sorrentina”. Zanzotto aveva scritto il “Filò” per il “Casanova” di Fellini. La sua cifra era il “multilinguismo”. Ma anche il senso di una cultura che si “frantumava”. Ed oggi stiamo, per l’appunto, vivendo un autentico momento di “frantumazione”. Il globalismo culturale (e ancor di più quello economico) ha subito una brusca frattura”.

Che cosa l’ha colpita di più in questi giorni dedicati alla Pasqua?

“Camminando per lo stretto necessario in questi giorni per Piano di Sorrento, avvertendo la mancanza dei riti della settimana santa (anche se rivissuti “in interore homine”, con il supporto offerto dall’ascolto degli inni liberati nell’aria dalla filodiffusione), immaginando i progetti che ogni soggetto culturale ha dovuto accantonare o interrompere, ho pensato fortemente a quello che sarà il ruolo della cultura nel dopo-covid. Un ruolo fondamentale per ritrovare un “io” sfilacciato, che ha bisogno di ricompattarsi e diventare un “noi”. Al di là però di quelle che, a questo punto, potrebbero essere riflessioni di matrice teorica, estetica, sociologica, introspettiva, desidero invece porre l’accento sull’importanza della cultura come asset strategico per l’economia e la ripresa spirituale del Paese. Oltre che di “contenimento” sociale, rispetto alle tante “derive” che facilmente potranno affacciarsi lungo il percorso”.

Ecco, cultura intesa come asset strategico sul piano socio-economico vuol dire affidarle una ruolo di primo piano nella rinascita globale del Paese…

“Parlare di cultura nella società significa, in qualche modo, avvicinarsi ai “sistemi disordinati”, per usare un’espressione mutuata dalla fisica: cioè i sistemi delle materie che hanno strutture molecolari asimmetriche. Un sistema disordinato, tuttavia, è pur sempre un sistema, che conserva un’identità propria e diversa da quella delle parti che lo compongono. Manca di ordine, ma può avere un suo equilibrio. Il ruolo della cultura, in questa fase del dopo-Covid sarà proprio quello di ripristinare e conservare un equilibrio nelle forme asimmetriche della nostra nuova vita, nella generale mancanza di un ordine. E si badi bene a non cadere nella tentazione contabile di giudicare la cultura come un indicatore “non significativo”, perché forse non sarà in grado di produrre grandissimi numerari, come altre filiere. Essa è un indicatore “significativo”, in quanto costruttrice di civiltà, spazio di formazione per i nostri giovani, molti dei quali oggi si trovano senza un lavoro, delusi e assolutamente impreparati o, comunque, non pronti ad investire su se stessi. Va sottolineata anche l’importanza strategica del terzo settore, che proprio per il suo carattere di non lucratività (consistente nel vincolo di non distribuzione di utili o riserve) andrà incentivato da uno Stato, che intervenga fortemente sullo scenario quotidiano”.

A proposito di Stato, come giudica i primi provvedimenti adottati dal Governo per fronteggiare l’emergenza socio-economica nazionale?

“Non bastano i prestiti per pagare tasse, fatture o bollette. Sono necessari, è vero. Ma non sufficienti. Sono fondamentali manovre capaci di contrastare la depressione che il nostro settore culturale sta vivendo e vivrà (come del resto tutti gli altri). Auspicherei da parte del Governo, delle Regioni, dei Comuni l’ideazione di progetti di rete ovvero la creazione di bandi di finanziamento per idee cantierabili, progetti culturali consorziati, spettacoli e festival, che – una volta cessata l’emergenza – possano essere cofinanziati con fondi pubblici, richiedendo magari una quota partecipazione economica delle imprese beneficiarie. Questo potrebbe essere uno strumento da utilizzare per rimettere in moto l’economia dello spettacolo dal vivo. Consentirebbe di ricreare flussi economici, altrimenti fermi. E destinati a restare tali. Da un lato lo Stato presta un po’ di liquidità; dall’altro l’imprenditore culturale muove qualche risparmio : se lo ha, lo fa senza remore perché, in virtù dell’obbligo della non lucratività, non può conservare quelle risorse per appropriarsene magari anche in futuro, come invece accadrebbe nelle comuni imprese rivolte al mercato”.

Una ricetta innovativa che riscrive il modo di proporre iniziative artistico-culturali anche per quanto concerne l’aspetto organizzativo, gestionale e finanziario…

“Si apprestano servizi e forniture sui quali poi gli enti culturali riceverebbero un finanziamento che, per molti di essi, costituirebbe una sopravvenienza, sulla quale applicare le imposte future. E lo Stato riuscirebbe a garantirsi, in tal modo, anche nuove entrate tributarie che,in mancanza, dal settore culturale difficilmente tenderanno ad arrivare.
Non sarà facile infatti che gli utenti, motu proprio, torneranno a richiedere spettacoli teatrali come prima. Altrettanto difficile per i musei sarà compensare i costi di una mostra da organizzare con i biglietti dei visitatori. Su tutto peseranno, negativamente, carenze economiche, misure di distanziamento sociale, stati d’animo. In questo momento, più di prima, sarà quindi necessaria una iniezione di liquidità, con contemporanee politiche pubbliche di incentivi alle donazioni, come ad esempio i voucher per i visitatori e altre manovre in grado di riaccendere un sistema virtuoso di mercato sociale, destinato poi a tornare a regime, autoalimentandosi e orientandosi ad un’ottica liberista ispirata al principio del “liassez faire”.

Un’analisi propositiva assolutamente interessante quella che propone. E i territori come possono tornare ad essere protagonisti nell’offerta culturale?

“Un altro passo in avanti, per puntare all’efficienza, sarebbe quello di creare dei sistemi territoriali della cultura, in virtù di quello che in questi giorni ho amato definire il ”campanilismo solidale”: una sorta di civismo attivo che non si ripieghi su se stesso come nel peggiore campanilismo, ma che forte di una identità (ri)trovata, si appunti ai linguaggi provenienti dall’ambiente esterno. Mi soffermo, ad esempio, sulla Penisola Sorrentina. Per la nostra terra sarebbe opportuna una sorta di cabina di regia, di gestione associata: strumento, tra l’altro, contemplato nella disciplina sugli enti locali, il cosiddetto TUEL. Sarebbe bello che i sindaci dei comuni della penisola sorrentina si sedessero intorno ad un tavolo per costruire il calendario degli eventi della penisola sorrentina “DopoCovid 19”, magari con una stagione autunno-invernale che faccia da ponte al 2021. Sarebbe un criterio che, nel tempo, potrebbe dar luogo a nuove idee e nuovi modelli efficienti di governance locale con nuove strategie di gestione dei servizi, anche forse meno onerose”.

E’ chiaro che la pandemia ha cambiato e cambierà tanto ancora della vita quotidiana dell’umanità…

“Attenzione, non sappiamo ancora quanto è cambiata la nostra vita dopo questo virus. Certamente, però, è cambiata! E, quindi, con essa è cambiata la cultura che da sempre segue le vicende dell’uomo. Parlare di una “rivoluzione” forse, oggi, è ancora prematuro. Una vera e propria rivoluzione culturale, e quindi anche scientifica, secondo l’insegnamento del fisico, filoso e storico statunitense Thomas Kuhn, si manifesta solo quando una comunità di persone e di studiosi, di fronte ad un’anomalia che metta in discussione gli assi portanti del paradigma in uso, ne trova uno nuovo il quale, mutando il quadro di riferimento, fa entrare quella comunità in un mondo nuovo. Sintetizzando: quando mutano i paradigmi, il mondo stesso cambia con essi”.

Riusciremo ad adattarci a questa nuova dimensione che riguarderà ogni aspetta del vivere civile?

“Tutto dipenderà dall’andamento epidemiologico che detterà le sue regole. Adattarsi o rovesciare i paradigmi e, quindi, il mondo? La risposta non tarderà ad arrivare. Le sfide dell’uomo sono tante. E i bisogni connessi alla vita si traducono, da sempre, in sistemi culturali. Voglio richiamare alla mente e al cuore un’opera di un altro grande poeta italiano: Mario Luzi. La raccolta poetica precedeva la guerra e si intitolava “La barca”. Oggi, come allora, anche noi uomini del 2020 siamo su una stessa drammatica barca, in cerca di un “porto” di felicità e di nuove certezze. Luzi dedicava quel volumetto al sodale Piero Bigongiari il quale ebbe a replicare che “la situazione storica sarà sempre e soltanto un antecedente che la fantasia si affretterà a scompigliare”. Buona profezia, anche se il futuro fu più complesso di quanto quelle righe del critico fiorentino potessero allora lasciare intendere. E, spero, anzi sono convinto, sarà così anche stavolta”.

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