“Covid-19…Il Paese che verrà/14” Maurizio Santomauro: Cuore e Coronavirus

maurizio-santomauroNella stagione della pandemia covid-19 sono scomparsi gli ammalati e i decessi per patologie diverse dal coronavirus? Assolutamente no. Approfondiamo l’argomento col Prof. Maurizio Santomauro del Dipartimento di Emergenze Cardiovascolari, Medicina Clinica e dell’Invecchimaneto dell’Università Federico II di Napoli e Presidente dell’Associazione Scientifica “Gruppo Intervento Emergenze Cardiovascolari (GIEC). Con lui accendiamo i riflettori sugli ammalati cardiopatici per capire quali sono i rischi connessi al coronavirus. Teniamo presente che le malattie cardiovascolari conservano il primato di cause di decessi nella popolazione in tempi normali per cui la pandemia può rivelarsi la classica goccia che fa traboccare il vaso. Il prof. Santomauro è uno dei più autorevoli esperti di malattie cardiovascolati cui ha dedicato una vita di studi per la cura e per la prevenzione oltre che, attraverso il Giec, per la formazione degli operatori laici alle manovre di pronto intervento mediante l’utilizzo del defibrillatore e la disostruzione delle viee aeree attraverso la manovra di Heimlich. Grazie a questo impegno oggi sono migliaia in Italia i “non medici” abilitati al pronto intervento nelle emergenze più comuni.

Prof. Santomauro qual è il rapporto tra le patologie cardiovascolari e il covid-19?

“Tra le categorie di malati cronici più a rischio di sviluppare forme gravi di COVID-19 ci sono i cardiopatici, gli ipertesi e in generale le persone con preesistenti malattie cardiovascolari. Diversi studi clinici e di laboratorio iniziano a spiegare i motivi di questa predisposizione e potrebbero indicarci nuove terapie”.

Quali sono le complicanze cardiovascolari da COVID-19?

“Secondo i dati italiani raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS), il 75% dei primi 155 pazienti deceduti a causa dell’infezione da nuovo coronavirus soffriva di ipertensione, mentre il 70% era affetto da cardiopatia ischemica. Questi numeri confermano quanto già emerso in Cina e pubblicato sulla rivista medica JAMA. Secondo i dati cinesi inoltre, la letalità del virus sale per le persone ipertese al 6% e raggiunge addirittura il 10% nei pazienti con scompenso cardiaco o altre malattiecardiovascolari o cerebrovascolari croniche. Il fatto che le persone con patologie cardiovascolari siano a maggior rischio di manifestare un decorso critico dell’infezione da COVID-19 è legata alla maggiore fragilità di questi pazienti. Già oggi sappiamo infatti che tra le complicanze della malattia COVID-19 molte sono di tipo cardiovascolare, con aritmia e danno cardiaco acuto. La scarsa capacità dei polmoni, colpiti dal virus, di ossigenare il sangue ha come diretta conseguenza un carico di lavoro superiore per il cuore, a cui viene chiesto di pomparne di più e più velocemente. Inoltre, non si può escludere che l’infezione virale causi un danno diretto alle cellule del cuore, come è stato già dimostrato nel caso di infezione da altri tipi di coronavirus. Una storia di ipertensione arteriosa, cardiopatia ischemica o la presenza del diabete mellito è stata riscontrata con maggiore frequenza in pazienti Covid-19 che hanno avuto bisogno di un ricovero in terapia intensiva o che sono deceduti rispetto a pazienti con decorso non complicato di malattia. Nel 20-30% degli ospedalizzati si è osservato un danno cardiaco acuto. In un recente studio cinese i pazienti ospedalizzati con un danno cardiaco acuto avevano un rischio 4 volte maggiore di morire in ospedale rispetto a pazienti senza interessamento cardiaco. I pazienti con precedenti patologie cardiovascolari potrebbero essere più a rischio di sviluppare un danno cardiaco acuto durante Covid-19”.

Si parla di un impatto sul cuore del COVID-19 attraverso il recettore ACE2

“L’azione del virus sul cuore potrebbe essere mediata da un recettore particolarmente espresso sia dalle cellule dei polmoni che dalle cellule del cuore. Si chiama ACE2, è stato scoperto nel 2002 e, secondo i primi studi, il COVID-19 sarebbe in grado di legarsi a questa molecola molto espressa a livello cardiovascolare grazie a una sua proteina di superficie, la cosiddetta proteina “Spike”. Al momento in ambito cardiologico il coinvolgimento di ACE2 ha destato un grosso dibattito in quanto gli antipertensivi più largamente prescritti sono gli ACE-inibitori e i Sartani, che hanno meccanismi d’azione diversi ma entrambi possono interferire sul funzionamento di questo enzima. Secondo alcuni ricercatori queste classi di farmaci potrebbero amplificare gli effetti negativi del COVID-19 sia a livello polmonare che cardiaco, secondo altri invece alcuni farmaci appartenenti a questa classe potrebbero addirittura svolgere un’azione protettiva nei confronti del virus. Questi farmaci comunemente usati nell’ipertensione arteriosa e nello scompenso cardiaco sono infatti potenzialmente in grado di aumentare l’espressione del recettore ACE2, il recettore del virus aiutando il virus nella sua attività di invasione delle nostre cellule. ACE2 è un enzima importantissimo per il nostro sistema immunitario e, normalmente, aiuta a prevenire il danno polmonare acuto. L’azione del virus sta proprio nel bloccare l’ACE2, quindi ACE inibitori e sartani potrebbero aiutare a prevenire un danno polmonare e cardiaco acuto. Comunque la Società Europea di Cardiologia raccomanda di continuare ad utilizzare abitualmente queste classi di farmaci, come stabilito dalle Linee Guida internazionali”.

Come vengono gestiti durante la pandemia i pazienti cardiopatici?

“I pazienti con disturbi cardiovascolari sono a rischio maggiore di contrarre il COVID-19 e hanno una prognosi peggiore. Nelle zone dove l’epidemia di COVID-19 è in atto, è consigliabile sostituire le visite di routine ambulatoriali con visite telefoniche o di telemedicina, in modo che i pazienti stabili affetti da malattie cardiovascolari evitino un possibile contagio con COVID-19. È consigliabile effettuare il triage telefonico sui pazienti affetti da COVID-19 in base ai disturbi cardiovascolari per un trattamento prioritario. Il Centro Nazionale per la Telemedicina e le Nuove Tecnologie Assistenziali dell’Istituto Superiore di Sanità, dall’inizio dell’emergenza nazionale da COVID-19, sta collaborando con le realtà operative sul territorio italiano fornendo il proprio supporto alla realizzazione di soluzioni concrete, rapide da applicare e aderenti alle norme vigenti e tali da offrire le migliori garanzie di sicurezza sanitaria sia per i pazienti che per i professionisti. Nel realizzare servizi di telemedicina per i cardiopatici occorre tenere presente le esigenze relazionali dei pazienti con il sistema sanitario.

Con la telemedicina si sta sopperendo alle difficoltà di interfacciarsi col paziente e con quali risultati?

“L’isolamento dentro il proprio domicilio rende particolarmente desiderabile poter contare su un servizio facilmente fruibile a distanza, potendo accedere in modo veloce al colloquio con i cardiologi, secondo necessità. A causa della limitazione degli spostamenti, il paziente si aspetta di ricevere già attraverso il contatto telematico la soluzione del suo problema, oppure la chiara indicazione di come risolverlo o quanto meno di percepire la concreta possibilità di essere comunque assistito in modo efficace e sicuro. In mancanza dei suddetti riscontri, il paziente tenderà a non fidarsi del sistema proposto e a non usarlo, specialmente quando si trovi ad affrontare necessità impellenti. La videochiamata si sta rivelando particolarmente utile per avere un quadro sommario dello stato clinico del paziente e per consigliare eventuali modifiche terapeutiche per gli anti-ipertensivi, gli anticoagulanti orali (Coumadin o Sintrom), i diuretici e gli inotropi positivi per lo scompenso cardiaco. Una delle applicazioni più significative della telemedicina è la rete cardiologica dell’emergenza (RETE IMA). Il paziente in questo momento particolare preferisce chiamare il 118 e non andare in pronto soccorso per paura del contagio. La possibilità di trasmettere direttamente l’elettrocardiogramma, nel sospetto di infarto, da casa alla Unità Coronarica di riferimento, sicuramente rappresenta un vantaggio non indifferente soprattutto in un momento in cui bisogna limitare gli accessi in ospedale. Anche le urgenze aritmiche possono essere valutate tramite telecardiologia e solo i casi instabili e che necessitano di trattamento vengono inviati in ospedale. In questo periodo il controllo remoto dei dispositivi impiantabili (pacemaker, defibrillatori impiantabili) si sta rivelando particolarmente utile al fine di un monitoraggio continuo e sicuro. I pazienti possono prendere contatto con l’ambulatorio cardiologico di riferimento e chiedere notizie del loro monitoraggio. In base agli eventi evidenziati si stabilisce una scala di priorità di intervento e di suggerimenti terapeutici. I controlli ambulatoriali sono riservati ai pazienti che non hanno la possibilità del controllo remoto e solo in caso di effettiva urgenza”.

Qual è la situazione delle terapie attuali?

“Il Covid-19 oltre alla polmonite colpisce altri organi attraverso una forte risposta infiammatoria. Questa forte infiammazione si associa ad una potente attivazione della coagulazione e quindi predispone a fenomeni trombociti e tromboembolici, mediando un danno provocato in maniera indiretta dal virus in organi diversi dal polmone, tra cui il cuore. Infatti aumentati livelli di marker bioumorali di infiammazione e della coagulazione sono stati riscontrati, in parallelo a un danno acuto del cuore, in pazienti Covid-19 con prognosi infausta. E’ possibile che alcune persone siano morte per complicanze cardiovascolari come infarto miocardico ed embolia polmonare che sono state descritte come complicanze del Covid-19 già in Cina. Al fine di ottimizzare strategie preventive e terapeutiche nei pazienti ospedalizzati è stato introdotto l’utilizzo della terapia anticoagulante con eparina per prevenire le complicanze tromboemboliche che si osservano nelle forme più severe di Covid-19. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ha autorizzato l’avvio dello studio multicentrico INHIXACOVID19, che prevede l’impiego di enoxaparina sodica nel trattamento dei pazienti con quadro clinico moderato o severo”.

Come si svolgerà la sperimentazione?

“La sperimentazione che sarà svolta in 14 centri in tutta Italia valuterà la sicurezza e l’efficacia dell’anticoagulante nel migliorare il decorso della malattia. La sperimentazione prevede l’arruolamento di 300 pazienti affetti da COVID-19 a cui verrà somministrata enoxaparina sodica biosimilare per via sottocutanea in mono-somministrazione giornaliera: un gruppo di 200 pazienti con dose di profilassi pari a 4.000 U.I. e un gruppo di 100 con dosi terapeutiche intermedie di 6.000, 8.000 o 10.000 U.I., in base alla massa corporea. Il protocollo dello studio è stato elaborato in base al riscontro di alterazioni della coagulazione e di complicazioni trombotiche nei pazienti Covid-19 che spesso rappresentano una delle più importanti variabili associate a mortalità. Alla luce delle evidenze scientifiche raccolte finora e dei risultati incoraggianti che provengono da studi svolti in Cina, sia in vitro che su pazienti, è nata l’idea di promuovere una sperimentazione anche in Italia impiegando, a scopo terapeutico, un dosaggio medio-alto del farmaco. I dati che giungono dalla Cina suggeriscono un ruolo importante dell’enoxaparina nel limitare l’azione patogena del virus. L’eparina ha una struttura molto simile all’eparan solfato, molecola presente sulla superficie cellulare del nostro organismo e usata dal COVID-19 per aderire alla cellula, prima di entrarvi e liberare all’interno citochine. L’anticoagulante attrae il virus che si attacca alla molecola del farmaco e anziché aggredire le cellule sane, aggredisce l’eparina. I test cinesi effettuati in vitro hanno mostrato l’efficacia antivirale dell’enoxaparina associata alla capacità di interferire con la “tempesta citochinica” che caratterizza la fase iper-infiammatoria della malattia, che è quella più pericolosa per il paziente”.

Si sta parlando anche dell’uso profilattico della Clorochina in associazione con Azitromicina…

“Una particolare attenzione è rivolta al possibile effetto cardiotossico di alcuni promettenti farmaci per trattare il Covid-19, come l’idrossiclorochina. A tal proposito è rassicurante sapere che effetti cardiotossici di questo farmaco raramente si osservano prima di anni di somministrazione. Riguardo al possibile aumento del rischio di aritmie cardiache secondario a idrossiclorochina, azitromicina o antivirali, un attento monitoraggio della ionemia e dell’elettrocardiogramma è un atteggiamento prudente nella maggior parte dei casi. Le maggiori società scientifiche cardiologiche americane (American HeartAssociation, Americal College of Cardiology) comunque raccomandano cautela nell’utilizzare idrossiclorochina e l’antibiotico azitromicina nei pazienti con malattie cardiovascolari. L’idrossiclorochina e l’azitromicina sono attualmente utilizzate per la potenziale profilassi o il trattamento dell’infezione da COVID-19. Entrambi i farmaci possono essere causa di torsione di punta: l’idrossiclorochina può provocare un allungamento dell’intervallo QT e può provocare torsione di punta, che è una pericolosa aritmia che a volte può portare al decesso. Si ritiene che i farmaci per la profilassi della malaria, come l’idrossiclorochina, agiscano sugli stadi di ingresso e post-ingresso del COVID-19 nelle cellule dell’organismo e in particolare del polmone e del cuore. L’azitromicina è sempre più riconosciuto come una rara causa di prolungamento dell’intervallo QT, di gravi aritmie e di aumento del rischio di morte improvvisa. Studi elettrofisiologici suggeriscono che entrambi i farmaci possono essere proarritmici attraverso l’innesco di torsione di punta. Non è stato studiato l’effetto della combinazione di questi agenti sul QT o sul rischio di aritmia e sono attualmente in corso più studi randomizzati. I pazienti gravemente malati hanno spesso comorbidità che possono aumentare il rischio di aritmie gravi. Questi includono ipopotassiemia, ipomagnesemia, febbre e uno stato infiammatorio. Le azioni per minimizzare il rischio di aritmia includono: monitoraggio elettrocardiografico, sospendere i farmaci che prolungano l’intervallo QT basale come l’Amiodarone (Amiodar o Cordarone) o che abbiano una sindrome QT lunga congenita”.

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