“Covid-19…Il Paese che verrà/12”: Alberto Corbino, cambiare è un dovere

alberto-corbinoAlberto Corbino, napoletano ma con salde radici sorrentine, è un esperto di sviluppo sostenibile, alias di “buona economia“.
E’ quello cui dovremmo tendere in termini di esperienza collettiva in un Paese, anzi in un Mondo, che sta cercando di sopraffare la pandemia che ne ha messo terribilmente a nudo debolezze, contraddizioni, disfunzioni e incapacità di misurarsi con una sfida a trecentosessanta gradi per non soccombere vittime del covid-19, almeno fino a oggi. Gli abbiamo chiesto di parlarci di lui, della sua esperienza di vita e professionale per cercare di comprenderne il senso e la prospettiva per quella che ci auguriamo possa essere una umanità nuova, maturata da questa esperienza, pronta a invertire senso di marcia… fosse soltanto per non soccombere!

Dottor Corbino come vogliamo iniziare questa intervista un po’ speciale nella quale le chiediamo di parlarci di lei e delle sue esperienze di vita in Italia e nel mondo?

“Negli Stati Uniti, paese individualista per eccellenza, ma anche paese in cui il Presidente eletto conclude il giuramento di inzio mandato sulla bibbia esclamando “e così mi aiuti Dio”, le persone “arrivate” usano spesso l’espressione “to give back” cioè restituire. Il che vuol dire: se sono dove sono, è merito mio ma anche merito della sorte, dell’accompagnamento divino (dicono: blessed – benedetto) e quindi devo restituire qualcosa. Nasce da questo mix di consapevolezza nei propri mezzi e nei propri limiti, la diffusa propensione alla filantropia di tantissimi americani (famosi e gente comune) e la cui generosità è spesso fondamentale per rattoppare la gravi carenze di assistenza pubblica (in particolare in istruzione e salute) del paese più ricco al mondo.
Ho voluto raccontare questo aneddoto perché il restituire la fortuna che sento di aver avuto nella mia vita – ognuno di noi potrebbe pensarlo per il solo fatto di essere nato sano, in un paese ricco – è stato uno dei miei principi guida da molto tempo.
Il secondo principio guida è: cercare di guardare alle cose da angolazioni differenti, soprattutto le situazioni che non mi piacciono, e capire come cambiarle. Ovviamente viaggiare, anche in luoghi molto differenti da quelli in cui si vive, aiuta ad avere uno sguardo differente, ed è anche per questo che le incertezze dovute all’emergenza Covid19 generano in me molta inquietudine: spostarmi per conoscere e capire ha sempre costituito una parte essenziale della mia formazione, consentendomi di tornare a casa arricchito e fare il confronto su cosa mi piacesse e cosa no”.

Forte di questa filosofia di vita quando ha scoperto la sua vocazione per le questioni ambientali?

“Da piccolo ciò che non mi piaceva erano essenzialmente le questioni ambientali: se la città in cui vivevo (e vivo – Napoli) era inquinata e sporca, non era detto che dovesse essere sempre così; ossessione, questa, che mi ha portato a laurearmi con una tesi in Politica dell’Ambiente, cattedra allora appena istituita alla Università Federico II. Dall’ambiente, grazie anche a un corso di specializzazione all’allora glorioso Formez, lo sguardo si è evoluto sull’economia, che è l’unica dimensione in cui tutti siamo immersi, nolenti o volenti, ogni giorno. Se si vuole cambiare il mondo – ho capito – bisogna cambiare l’economia quotidiana, il nostro modo di consumare e di conceprire i rapporti economici”.

Quindi dovremmo essere tutti esperti di economia per imparare a gestire le nostre esistenze?

“In molti pensano all’economia come a un insieme di dogmi religiosi immanenti, mentre l’economia è solo frutto dell’attività dell’uomo e, come tale, cambia nel tempo in “dimensione e forme”. Ma … niente di troppo complesso, anche perché sarebbe fuori dalla mia portata: mi riferisco a un cambiamento che parte dal basso dei consumi quotidiani, e può portare ad una rivoluzione dell’economia su scala locale e globale e quindi influenzare gli aspetti sociali e ambientali che ci riguardano più da vicino. La chiave di lettura è questa: oggigiorno, con l’assoluta pervasività dell’economia e col primato di questa sulla politica, non abbiamo più bisogno di martiri o di grandi eroi come Gandhi o Martin Luther King per cambiare il mondo; il nuovo eroe è il vicino di casa, che con la sua consapevolezza, unita a quella di milioni di cittadini/consumatori, con il suo “votare col portafoglio” può fare la differenza.
Nel tempo – oggi ho 50 anni e questa mia ricerca dura da almeno 28 – ho ristretto i miei campi di indagine e di applicazione di queste teorie di economia alternativa, circolare, solidale, sostenibile (trovate voi l’aggettivo che più vi piace) e, da oltre dieci anni, mi occupo quasi esclusivamente di due settori: il cibo e il turismo, che presentano tanti punti di contatto, ovviamente. In aggiunta a ciò, per ricordare mia madre Silvana Cariello, sorrentina doc scomparsa nel 2016, ho costituito con alcuni familiari la Fondazione Cariello Corbino – il cui slogan è EartHeart (Terra – Cuore) e che ha due linee di azione: sostenere gli ultimi tra gli esseri umani nel soddisfacimento dei bisogni fondamentali (il Cuore) e difendere il pianeta (la Terra) promuovendo un cambio nel paradigma dello sviluppo economico”.

Allora ci parli del suo rapporto intelletuale con turismo e cibo?

“Tornando a turismo e cibo, credo sia superfluo sottolineare quanto questi due settori economici siano strategici per l’economia italiana. Nella mia visione potrebbero esserlo ancora di più, incrementando la loro interdipendenza e quindi la capacità di promuoversi a vicenda. In Italia, per esempio, c’è ancora tantissimo da fare per il turismo enograstronomico, in particolare nelle splendide aree interne. Un altro punto fondamentale? Bisognerebbe legare a doppio filo prodotti del territorio e ristorazione, anche quella alberghiera. Ciò incrementerebbe di molto le vendite di prodotti tipici e contribuirebbe a rendere ancora più unica un’esperienza turistica. Se c’è un paese al mondo che può attuare questa politica è l’Italia, e invece siamo molto lontani da ciò che avviene altrove, ad esempio in Francia, con la valorizzazione estrema di vini e formaggi locali.
Per quanto attiene il turismo, oltre dieci anni fa sono diventato socio de Il Vagabondo, associazione culturale di turismo responsabile, fondata a Napoli nel 2000, tra le prime realtà in Italia nel suo genere e la prima a proporre un turismo alternativo nel Sud Italia. Oggi, parlare di un turismo diverso, più attento alle istanze ambientali e sociali, non è solo una prerogativa di piccole associazioni, ma costituisce una strategia di responsabilità sociale d’impresa adottata, a diversi livelli, da grandi catene alberghiere o da enti territoriali in Italia e nel mondo. Un ottimo esempio a noi vicino, che non mi stanco di promuovere, è quello ideato dalla società di consulenza Hotel Rifiuti Zero di Antonino Esposito, imprenditore di Massa Lubrense, che è riuscito a declinare con successo nella pratica, in costiera e non solo, la teoria “rifiuti zero” del professore Paul Connett“.

E per quanto riguarda il cibo?

“L’altro ambito, quello del cibo, inteso nelle sue componenti culturali, economiche e sociali, lo curo grazie all’UCMed – Università della Cucina Mediterranea, un’associazione di promozione sociale che ha sede in Sorrento e che ha trovato un valido partner operativo nell’istituto Alberghiero “De Gennaro” di Vico Equense. I soci UCMed, con cui sono entrato in contatto otto anni or sono e che da qualche anno mi concedono la loro fiducia come presidente, sono professionisti di varia estrazione con un comune orientamento: introdurre la sostenibilità e la responsabilità sociale d’impresa nella filiera agroalimentare e della ricettività. Da 4 anni con UCMed abbiamo realizzato una partnerhsip europea con Spagna, Belgio e (oggi) Portogallo per introdurre lo sviluppo sostenibile nei programmi formativi della scuole professionali in Unione Europea. L’emergenza Covid-19 ci ha rallentato, ma ritieniamo doveroso continuare su questa strada, anche per garantire migliori prospettive professionali ai nostri diplomati. Ciò che ho imparato con UCMed sono riuscito anche a trasformarlo in insegnamento universitario, presso l’Arcadia University – The College of Global Studies, per la quale a Roma – e oggi on-line per i miei studenti tornati negli Stati Uniti – insegno “Food Studies – culture, globalization, sustainability”. Sostenibilità e economia del cibo sono anche una parte importante del programma del corso “Geography of world economy” che di recente ho avuto occasione di insegnare all’Università Federico II di Napoli a studenti provenienti da tutto il mondo”.

Il suo impegno con la Fondazione Cariello-Corbino rappresenta una testimonianza di una civiltà coraggiosa, intrapredente e solidale verso i meno fortunati del mondo…

“La chiusura del cerchio di questo percorso professionale e personale l’ho trovata nel progetto cui ho accennato prima: la Fondazione Cariello Corbino, in particolare nei suoi progetti per i bambini in Africa e in Asia, paesi dove la fame è ancora oggi un dramma quotidiano e dove c’è bisogno di portare la speranza di un futuro migliore. Nonstante la Fondazione operi, e io in prima persona, in territori non semplici, non è il caso di incensarsi e di credersi degli eroi. Niente di più sbagliato: per me è sempre bastato ricordare la regola aurea della reciprocità: “non fare all’altro quello che non vorresti fosse fatto a te”, presente nella filosofia greca, nell’Ebraismo, nel Cristianesimo, nell’Islam e nel Confucianesimo e in altre religioni, per capire che il cambiamento è un dovere alla portata di tutti”.

Stampa