Alle piccole banche occorre coraggio (*)
Quello di guardare solo in casa propria, è un atteggiamento domestico diffuso, ma raggiunge il suo apice nel mezzogiorno della penisola. Studiosi di sociologia affermano che da queste parti si patisce ancora qualche nostalgico legaccio con il sistema imperialista, nell’accezione relativa a forme di governo con forte dominio e forte invadenza sulle scelte e sulle libertà del popolo.
Eppure, “uno per tutti e tutti per uno”, resta un proverbio, uno slogan, un motto solo per provare ad ambire a risultati relativi a competizioni sportive o peggio per accendere dispute belliche. Ebbene, qui esiste una disputa economica di rilevanti proporzioni di cui la comunità finanziaria locale con ogni ragionevole dubbio, non ha avuto ancora piena contezza e consapevolezza.
E’ storicamente innegabile che le banche locali svolgano un ruolo straordinario a favore della crescita dei territori di insediamento; le banche locali hanno fatto la fortuna di iniziative aziendali che altrove non avrebbero ottenuto neanche ascolto; hanno affiancato imprenditori durante le fasi di sviluppo o di ampliamento delle attività, hanno assistito il mondo delle PMI nella difficile fase che ha attraversato (e danneggiato) l’economia negli ultimi 10 anni.
Queste banche continueranno ancora a fare tutto ciò; ma dovranno farlo in modo diverso.
Il contesto socio-economico si evolve però alla stessa velocità dell’economia.
E’ cambiato, sta cambiando, cambierà ancora.
Il nostro territorio annovera una decina di banche di piccole o piccolissime dimensioni. Tranne rari casi, questi intermediari vivono una stagione, destinata a non chiudersi, che vede i costi di compliance, di struttura e di gestione degli NPL, rendere aridi i bilanci e realizzare rapporti cost/income, assolutamente poco performanti. Ne conseguono, medio tempore, ripercussioni sulla qualità, ma anche sulla professionalità, dei servizi finanziari forniti, senza tralasciare gli impatti sulle aspettative, spesso inevase dei tanti shareholders (come nel caso delle banche ad azionariato diffuso).
Questi intermediari dovranno riflettere (e dovranno farlo nel breve periodo) sulla possibilità di realizzare sinergie che mettano a fattore comune le esperienze specialistiche maturate, ma siano soprattutto in grado di guardare più lontano, ipotizzando la creazione di una forma di collaborazione, magari di tipo federale, per realizzare le necessarie economie di scala da un lato e dall’altro, creare i presupposti per la realizzazione di un soggetto, quale risultante della sintesi delle varie realtà, in grado di poter competere con autentico diritto di cittadinanza, sugli scenari nazionali.
Al di la di quello che desidera la BCE e gli stessi regulator nazionali, che hanno un focus orientato alla vigilanza per la tutela del mercato e quindi la prerogativa, condivisibile o meno, di realizzare attività di controllo su intermediari “aggregati”, le principali nozioni di Economia Aziendale, suggerirebbero l’avvio di percorsi di integrazione ordinata, a favore del raggiungimento ottimale delle efficienze e delle necessarie economie di mercato.
Non è più immaginabile che il panorama locale rimanga quello attuale: frammentario, poco organico, asistematico, dispersivo per masse e competenze.
Entro l’anno, alla Facoltà di Economia della Federico II, organizzeremo un interessante convegno, accendendo i riflettori su questo particolare tema, per fare in modo che tutti possano “vedere” il domani che attende la comunità finanziaria della Regione e farsi trovare pronti per affrontare quel futuro che è già dietro l’angolo.
(*) Dott. Gennaro Fusco
Banca Popolare del Mediterraneo
Founder