Movimento 5 Stelle, il fenomeno politico dall’origine alla crisi di oggi
In principio furono i girotondi, precursori degli odierni flash mob, sollecitati da un regista contro il molok da Arcore. Non successe nulla. Il Cav, ricordo, si dimise su pressione del Presidente Napolitano, al secondo settennato, come risposta agli attacchi dei mercati finanziari che in quel periodo, 2010/11, aggredivano il nostro debito sovrano. Un comico genovese, caduto in disgrazia alla massa, ne raccoglieva il testimone e, dopo una serie di show in alcune assemblee degli azionisti di spa, cavalcando un sentimento legittimo di italica mal sopportazione, istituiva i vaffa day.
Mentre i girotondi non sortirono la nascita di una formazione politica, i vaffa day dettero origine al Movimento cinque stelle.
Con la benedizione dei padrini/padroni, il Movimento si scaglia contro tutti e tutti coloro che, secondo i loro dettami, non fossero i paria della nazione sdoganando una terminologia veemente e a tratti cafona nei modi e nei destinatari. Alle politiche, un gruppo di attivisti, candidati a mezzo video, varcarono i portoni dei palazzi del potere venendo a contatto proprio con gli attori dei loro strali ed invettive. Gli zombi, il nano da giardino, la mummia divennero loro interlocutori ed avversari con cui, così la politica impone, confrontarsi.
I neo parlamentari si rinchiusero in una camera asettica timorosi di essere infettati, disdegnando di partecipare ai media che non fossero quello designato dall’ortodossia dei proprietari: dall’apertura della scatola di tonno a rinchiusi in una scatola.
Le idee: di uno vale uno, massimo due mandati, capi gruppo a rotazione, mai incarichi istituzionali di rilievo se non avendo la maggioranza assoluta, nessuna alleanza, nessun confronto ma scontro con forze politiche che ,secondo le loro previsioni, sono destinate all’estinzione ,opposizione sempre-comunque-ovunque.
Era l’ortodossia del “grillismo”. Erano le dirette streaming di incontri tra partiti e sedute dei gruppi parlamentari.
Poi venne marzo e le urne dettero ragione alle politiche isolazioniste senza premiarle con quella percentuale che avrebbe permesso un governo monocolore.
L’ideologia è un esercizio nobile a praticarsi salvo poi doversi confrontarsi con la realtà quando diventa, invece, sterile. O con me o contro di me.
Si cerca e si trova un partner e ci si inventa il “contratto” che viene fatto votare dai supporters salvando, così, il principio della democrazia diretta ed abbracciando, nella spartizione delle poltrone, il tanto vituperato manuale Cencelli. Agli uni i dicasteri economici, agli altri i resti.
E si comincia, tra manifestazioni di piazza ora festanti ora inviperiti (a comando?), a governare.
E’ storia recente l’affacciata dal balcone, non memori che già altri lo fecero e non finirono di certo bene (Gesù, Giulietta, Mussolini) con claque festante al di sotto richiamata lì dal magico fluido del messaggino telefonico.
Un anno è passato da allora. L’opposizione popolare è divenuta classe di governo e lentamente, ma inesorabilmente, si è allontanata, almeno nelle forme palesi, dai propri aficionados.
Troppi sono gli impegni, troppe le questioni sul tavolo che è impossibile per ciascuna aprire una consultazione. Gli eletti si separano dagli elettori come un figlio si separa dai genitori e seguono, proni, i nuovi dettati dell’uomo-solo-al-comando:il capo politico.
Di certo il Movimento ha aperto alla discussione ed alla partecipazione politica una pletora di figure che non avrebbero mai trovata rappresentanza nei partiti tradizionali, legati alle gerarchie territoriali periferiche e centrali. Ha tornato a far fare politica, a dare voce a chi alla politica aveva rinunciato. Ha dato voce ai mal di pancia che vengono da tutto il Paese.
Accontentare tutti? Impossibile. Come mettere d’accordo chi vuole impianti industriali, con nuovi posti di lavoro, con chi è portatore di una ecologia estrema?
Qui è la sfida.
Il M5S ha troppe anime e manca di quel pizzico di cinismo e, a mio parere, di chiarezza ancorchè preda del terrore di non farcela.
Non si spiegherebbero, altrimenti, il rinvio del Tav con annessa analisi costi-benefici, la non chiusura di ILVA, l’istituzione del RdC senza la riforma dei Centri per l’impiego e l’assunzione dei “navigator” e istituzione dei corsi.
‘A gatta pe’ ji ‘e pressa, facette ‘e figlie cecate
Il rincorrere il consenso ad ogni costo e ovunque toglie lucidità ed appanna i sensi ed obnubila la ragione.
Comprendo la preoccupazione di chi, a termine mandato, si vede a dover lasciar il desco imbandito con addosso ancora tanta fame e col desiderio di dover, necessariamente, lasciare il segno, ma non è questa la strada giusta.
Fare tante cose, promettere di farne altrettante e non portarne a termine organicamente una è sinonimo di non averne fatta alcuna.
All’ordine: facite ammuina…..solo i gonzi ci abboccano
di Vincenzo Romano