A proposito del 25 Aprile…Ognuno pianga i propri morti!
Il 25 aprile del 1945 gli alleati anglo-americani fanno il loro ingresso trionfale a Milano dopo essere saliti lungo tutto lo stivale partendo dalla sicilia per poi sbarcare prima a Salerno e poi ad Anzio. Dietro di loro le bande partigiane e poi i reparti militari all’ordine di Malgeri. L’Italia si era addormentata la sera prima al grido di Eia Alalà per svegliarsi di colpo antifascista, la Repubblica Sociale stava esalando l’ultimo respiro, gli stranieri divenuti da occupanti a liberatori, i civili in arme da banditi diventano partigiani. La confusione politico-istituzionale e civile che ne seguì segnò un periodo buio della storia patria patria ed ebbe strascichi ideologici e di violenza che ci hanno contraddistinto fino agli anni ’80.
L’ondivago umore italico tanto di moda oggiggiorno ebbe modo di reiterarsi il 2 giugno dello stesso anno quando ci si coricò monarchici per poi scoprirsi, al risveglio, di colpo repubblicani.
Historia magistra vitae enunciava Cicerone, ma la storia non ha insegnato nulla se non che viene piegata ai desiderata dei vincitori e dove gli sconfitti sono tutti “brutti, sporchi e cattivi”.
La storia ufficiale ha bollato come dittatura il regime fascista e sicuramente questi lo fu così come fu giusto ribellarsi ad esso; ma allora perchè bollare di brigantaggio, con accezione inconfutabilmente negativa, il medesimo afflato rivoluzionario, inteso come contrapposizione violenta all’occupante, portato avanti nel mezzogiorno d’Italia dopo il 1862 per tentare di rimettere sul trono di Napoli il Borbone anzicchè il sabaudo Vittorio Emanuele?
Inutilmente diversi autori, da Pazzaglia a Pansa, hanno cercato di fare luce sul taciuto della storiografia condivisa avvalendosi di documentazioni e testimonianze ancora nel XXl secolo osteggiate. Il fallimento di tali sforzi ha prodotto i suoi mefitici frutti dal terrorismo, sia rosso che nero, passando per la stagione delle stragi, a Gladio e alle logge massoniche deviate.
C’era una volta il tricolore alla cui ombra ogni giovane prestava giuramento di fedeltà poi anche questo è finito del dimenticatoio, bollato come inutile machismo alla pari dell’Educazione Civica scomparsa dai programmi scolastici.
Siamo figli del nostro passato, qualunque esso sia, e cresciamo in seno a gruppi che necessariamente stabiliscono scale di valori e gerarchie.
La crisi di valori o idee a cui appellarsi sanciscono la fine della nazione così come statuita da Cuocolo nel suo “Istituzioni di Diritto costituzionale”. Siamo napoletani, siciliani, lombardi, tirolesi ma mai italiani. Di questa italietta ce ne ricordiamo sono in occasione delle vittorie sportive, meglio se calcistiche e riteniamo di aver dato allo stato più di quanto questi meriti e sicuramente di più dell’altro accanto a noi.
Ha quindi senso nel 2019 parlare ancora di celebrazioni per il 25 aprile se i valori esposti dalla Carta lì dove si è schiavi dell’individualismo smisurato, del “grazie-ho-già-dato”, “mi spetta di diritto” vengono sistematicamente disattesi?
Valori come lavoro, famiglia, difesa dell’istituzione repubblicana, difesa del più debole e del diverso sono mortificati da sentimenti quali l’arrivismo e l’individualismo che alimentano bubboni come corruzione ed evasione fiscale.
Libertà significa fare ciò che si desidera senza disturbare o creare nocumento al prossimo sentendosi parte di un tutto più grande ed organico che alle volte sfugge alla nostra visuale ma che esiste.
Mi auguro si volti pagina; che le nuove generazioni crescano consce dei propri doveri prima che dei propri diritti. Ciascuno pianga i suoi morti senza il patema o vergogna di sentirsi chiamati fascisti o comunisti. I morti non gridano ma meritano di essere onorati e ricordati dai loro cari qualunque colore abbiano o giubba abbiano in vita indossato.
di Vincenzo Romano