Zero Waste Dream Team, una (in)comprensibile indifferenza
Per fortuna un movimento dal basso sta sommessamente crescendo e non ha bisogno delle luci della ribalta dei media Nei giorni scorsi ha attraversato l’Italia lo Zero Waste Dream Team, così denominato per l’assoluto livello internazionale della compagine. Stiamo parlando di Charles Moore, navigatore, scienziato, scopritore dell’isola di plastica, il terminale dello scempio ambientale dell’uomo venuto alla luce nell’oceano Pacifico.
Stiamo parlando di Paul Connett, chimico statunitense che ha dato vita alla rete internazionale di Rifiuti Zero.
Stiamo parlando di Ruth Abbe, presidente di Zero Waste Usa, di Rick Anthony, presidente della Zero Waste International Alliance, di Tom Wright, esperto di imballaggi e fondatore di Responsible-Packaging.org.
Uno stuolo di cervelli che da anni si occupano di questioni ambientali e, nel caso di Moore, gli hanno raggiunto l’apice della notorietà per avere scoperto nell’oceano Pacifico l’isola di rifiuti.
E’ stata una sferzata di aria pulita che ha attraversato l’Italia dal Centro al Nord, da Torino a Parma, da Firenze a Roma.
Naturalmente per presentare il tour è stato preparato un comunicato stampa a livello nazionale e tanti altri contributi ai vari livelli locali.
Ma è stupefacente il risultato di una notizia così ghiotta offerta ad una opinione pubblica abituata a scandali, operette, malapolitica.
Perché il risultato editoriale di questa notizia è stato uguale e zero.
Come se nulla fosse accaduto. Come se nessuno fosse passato di qui.
Come se le aule stracolme, i teatri pieni, gli studenti entusiasti, il livello altissimo degli interventi, come se tutto ciò non fosse mai esistito. Perché nessuna testata nazionale ne ha dato notizia.
Nessuna testata nazionale si è preoccupata di seguire il tour, di intervistare questi personaggi, di provare a capire il loro messaggio, per magari comprendere la gravità dello stato delle cose, sulla terra come in particolare negli oceani, che oggi assomigliano sempre di più ad acquitrini di plastiche galleggianti.
Plastiche che noi ci mangiamo ogni giorno sulle nostre tavole senza probabilmente nemmeno rendercene conto.
Il silenzio agghiacciante che ha accompagnato queste giornate, l’indifferenza totale verso questi temi, la notizia trasformata in una non notizia sono la cartina di tornasole della nostra comunità, invasa da notizie 24 ore al giorno, eppure mai così distratta e inanimata.
Chini sui nostri schermi lasciamo passare questi avvenimenti senza nemmeno accorgerci della loro importanza, ognuno ingobbito del proprio non sapere, non capire, non comprendere.
Il trionfo dell’indifferenza che ci sta portando ad affogare in quell’oceano di plastica, allegri e ridenti nei nostri inutili selfies di periferia.
Per fortuna un movimento dal basso sta sommessamente crescendo e non ha bisogno delle luci della ribalta dei media.
E’ un movimento vivo, vivace, forte, che oltrepassa le restrizioni imposte dalla carta stampata e dalle trasmissioni radiofoniche tradizionali.
Perché ha un centro fatto di relazioni umane forti e condivise, si fonda sul contatto tra le persone, tesse in continuazione nuove relazioni che nel tempo si rafforzano.
Un tipo di movimento che parte dal basso, spontaneo, che dalla base cresce verso l’alto. Quello che gli americani chiamano “grassroots”. Esso sta prendendo coscienza di sé stesso e della propria potenzialità. Una notizia è passata inosservata. Ma i semi depositati in queste giornate non tarderanno a germinare.
Aldo Caffagnini