Unimpresa: sul caso Imberbe rompiamo il muro del silenzio

Paolo Longobardi Unimpresa

ROMA – “Siamo stupiti dal silenzio che sta avvolgendo la vicenda di Davide Imberbe, il 52enne imprenditore vittima dell’ennesimo attacco della camorra e ci auguriamo che piena luce venga fatta sull’accaduto e che non cali mai l’attenzione sulla piaga della malavita organizzata nel nome della legalità”.
Il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi, interviene sul caso dell’imprenditore di Portici, in provincia di Napoli che, attraverso i mass media, ha voluto far conoscere il suo dramma.
“Dopo tante lotte e sacrifici chiuderemo l’azienda e 130 operai finiranno per strada – ha spiegato Imberbe – La camorra vince sempre. Lo Stato ci protegge per un periodo, poi torna tutto come prima e loro tornano a minacciare ed estorcere. Non c’è sicurezza, la loro manovalanza è infinita”.
Per Longobardi “E’ una vicenda che addolora e che rafforza l’intento di Unimpresa di schierarsi apertamente al fianco di tutti quegli imprenditori eroicamente impegnati sul fronte della lotta alla criminalità organizzata.
“L’illegalità dilaga con effetti distruttivi sul singolo e sulla collettività – ha aggiunto il leader dell’associazione di categoria delle micro, piccole e medie imprese – L’arricchimento illecito è fattore di impoverimento economico e di decadimento civile della società. Il quadro delle indagini sulle infiltrazioni camorristiche sono preoccupanti e testimoniano il consolidarsi di operazioni sempre più strutturate da parte degli ambienti malavitosi. Il passaggio dall’imposizione del pizzo al ricorso all’usura e dall’usura all’acquisizione dell’azienda da parte del crimine organizzato è un fenomeno che appare inarrestabile”.
Per Unimpresa, bisogna approntare un ventaglio di interventi che parta dalla assistenza legale e psicologica – l’angoscia e il terrore infliggono pene invalidanti per la qualità della vita delle vittime e dei familiari – fino alla collaborazione con le autorità investigative e giudiziarie.
“Per questi motivi sollecito le istituzioni a sostenere con atti concreti le tante associazioni che sparse sul territorio si affannano ogni giorno in una lotta tanto dura quanto sbilanciata – prosegue – Si tratta di associazioni che molto spesso operano in totale assenza di fondi ed a proprie spese; pur tuttavia, sono solite offrire un solido aiuto a commercianti, artigiani ed imprenditori dei servizi, vessati dagli strozzini e dalla criminalità organizzata. Mi riferisco a quel modello già sperimentato in alcune città del napoletano dove alcuni cittadini coraggiosi si sono organizzati autonomamente, anche con l’aiuto degli enti locali, fondando una associazione e predisponendo un numero verde antiracket, dedicato alle vittime degli strozzini. Il modello sta già riscuotendo enormi successi, atteso che è stata battezzata la nascita di un vero e proprio “collettore” tra le forze dell’ordine e le vittime del racket, al fine di convincere questi a denunciare e, al contempo, coadiuvare le forze dell’ordine e la magistratura nel loro già prezioso lavoro”.
Le associazioni di categoria e professionali devono predisporre codici di autoregolamentazione, sottolinea ancora Longobardi, ed espellere tutti coloro che emergono coinvolti in connivenze con la criminalità mafiosa, anche solo come fiancheggiatori, o che finiscono vittima del racket delle estorsioni senza denunciare.
“Ma la cultura della legalità da sola non può bastare quale antidoto alle infiltrazioni mafiose conclude – Occorre un innalzamento del livello di guardia. Colpire le ricchezze dei clan è l’unico mezzo per aumentare la permeabilità del tessuto economico e sociale alla loro infiltrazione. E’ indispensabile che l’argomento divenga punto fermo nell’agenda politica delle istituzioni locali, e che si rafforzi una sinergia tra i rappresentanti istituzionali e quelli del mondo economico”

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