Fusco (BPMed) e il ruolo della Banca a sostegno della crescita
Pubblichiamo l’intervento di Gennaro Fusco, presidente della Banca Popolare del Mediterraneo, al convegno nazionale organizzato a Roma dalla Fondazione Lab sul tema: “Il ruolo della Banca a favore della crescita“.
“- Cosa può fare oggi concretamente il sistema bancario per la crescita?
– Quali sono i nuovi meccanismi e le nuove leve da attivare?
– Quale è il ruolo del sistema per la tutela delle regole?
Il titolo del mio intervento presuppone una risposta praticamente scontata; il ruolo delle banche nella crescita è un ruolo assolutamente essenziale. Senza il sistema del credito non esiste l’economia così come la conosciamo. Ma oggi il sistema bancario può realmente fare di più? E’ innegabile che il sistema bancario italiano sia quello che sostanzialmente ha meglio “tenuto” rispetto alla crisi finanziaria, crisi che sta ancora esplicando i suoi effetti. Tuttavia la fase del credit crunch non può durare certamente all’infinto. Questo è il tempo in cui l’intero sistema nazionale deve mettere a frutto l’esperienza e provare a “lanciare il cuore oltre l’ostacolo”. Badate bene, qui non si afferma che le banche debbano regalare danaro, o concedere credito in modo superficiale e indifferenziato; le banche non sono delle Onlus; semplicemente devono sforzarsi e provare a dare un ulteriore impulso agli investimenti, con una maggiore consapevolezza ma evidentemente senza tradire i capisaldi della sana e prudente gestione. Il sistema bancario dicevamo, può fare veramente tanto per la crescita. E in parte lo ha fatto. Anche in una cattiva economia si può far una buona banca a condizione che la visione strategica sia di lungo periodo. Soprattutto per le imprese. Lo sviluppo delle imprese costituisce proprio l’essenza dell’attività bancaria. È un banale meccanismo reciproco: se si finanziano le imprese, esse ragionevolmente si sviluppano, se si sviluppano aumentano i volumi, le transazioni, le produzioni e così via.
L’operatore economico, a volte per problemi di liquidità, dovuti magari ad una gestione punitiva del proprio flusso crediti/debiti, oppure per sostenere lo sviluppo ricorre ai finanziamenti. Se la banca riesce ad interpretarne correttamente i fabbisogni e le finalità, semplicemente comprendendo le ragioni dell’impresa, oltre quelle che sono le fredde ma necessarie valutazioni tecniche, avrà assolto correttamente alla sua funzione. L’economia è a rischio di declino, ma porta sempre con sé grandi possibilità. Il settore bancario che ha un ruolo centrale per l’economia e la società: è un intermediario di denaro e nello stesso tempo di fiducia, di risparmio affidato alle banche, che lo investono o lo trasformano in credito. Le banche sono decisive perché trasformano ciò che è fermo in qualcosa di mobile, facendo del denaro un’energia che crea investimenti e sviluppo. Le note vicende della crisi hanno provocato un cambiamento nel mondo finanziario che è stato epocale ed è tutt’ora in atto. Spesso si sente parlare di etica in ambito finanziario, ma badate bene, ciò non deve essere inteso come atto di beneficenza, bensì quale principio di correttezza, di trasparenza, di lealtà, di chiarezza nei rapporti. I cambiamenti che stanno avvenendo a livello di sistema dovranno convergere necessariamente su questi valori. La crescita economica dipende tanto dalle capacità imprenditoriali esistenti, quanto dalle opportunità di finanziamento disponibili. Tra finanza e sviluppo esiste un legame bidirezionale: la possibilità di accedere a fonti di finanziamento adeguate, agevola la realizzazione dei progetti aziendali, così come la crescita del sistema economico amplia, a sua volta, le prospettive di crescita del sistema finanziario. Un meccanismo virtuoso, semplice nella teoria, ma spesso di non facile attuazione.
Nell’era delle grandi aggregazioni, nell’accentramento delle funzioni e nel conseguente decentramento dei centri decisionali presso grandi istituti, purtroppo viene a mancare il riferimento territoriale, il legame locale con il “veicolo finanziario”. Se da un lato la concentrazione e la fusione di istituti ha reso gli intermediari più “europei”, realizzando senza dubbio delle economie di scala, dall’altro ha inevitabilmente creato delle distanze dal territorio di insediamento. Proprio per l’allontanamento dei centri decisionali. In particolare la vocazione delle banche popolari è quella di una forte identificazione con il territorio di riferimento. Esse sono delle cooperative nate per sostenere le PMI, per tutelare l’interesse dei soci nonché reinvestire nello stesso circuito gli utili maturati. Ma il discorso non è relativo esclusivamente agli utili, che pure sono importanti.
Quello che qui interessa è la possibilità di effettuare gli impieghi nel medesimo territorio che ha generato la raccolta.
Le realtà bancarie di piccole dimensioni operano direttamente sul territorio, nel senso che ivi insistono i centri decisionali, pertanto riescono a valutare in modo più mirato e concreto, i progetti e le iniziative e a volte addirittura a promuoverle. Queste realtà vivono quotidianamente il contesto. Siamo convinti che ci sia la concreta possibilità di affiancare l’impresa anche nella fase di “incubazione”, per il supporto e lo stimolo delle nuove attività o per l’ampliamento di quelle già esistenti.
E in effetti l’attitudine e la capacità dinamica delle banche, in particolare quelle radicate sul territorio, consente di cogliere in anticipo le opportunità offerte dai mercati in continua evoluzione. Altrimenti a cosa servono le banche? A riequilibrare la domanda e l’offerta finanziaria? Ovvio! A operare una raccolta ed erogare impieghi? Chiaramente! Ma il futuro del sistema passa attraverso una fase nuova ed innovativa. Le banche, si diceva in apertura, hanno un ruolo sociale straordinario. Chi di voi presenti non ha almeno 1 rapporto bancario? Fisico, telematico o per corrispondenza? La banca è parte integrante del nostro quotidiano.
Dicevamo dei nuovi meccanismi e nuove leve. Per la verità si tratta di attività che almeno nella teoria sono sempre esistite: in una sola parola, affiancare le imprese nella crescita.
Ma in che modo? Oggi le banche dovranno “accompagnare” le imprese in maniera più concreta e reciprocamente proficua. Le banche con una forte connotazione territoriale hanno meglio gestito questi rapporti. Anzi sono quelle che hanno anticipato in qualche modo una sorta di “federalismo bancario”, hanno trasformato i rapporti da transazionali a relazionali. È giusto che sia così.
Del resto è bene che un territorio che risparmi debba vedere reinvestite le risorse laddove siano state prodotte.
Per rendere più incisivo il proprio ruolo le banche devono mettere a disposizione del mondo produttivo non semplicemente risorse finanziare ma più in particolare quelle che potremmo definire “dotazioni professionali”. Ovvero anche le competenze di consulenza ed analisi a favore delle imprese. Per piccoli progetti ad esempio, si potrebbe partecipare al capitale di modeste iniziative nell’ottica del monitoraggio e della buona riuscita dell’investimento stesso. Attualmente questa attività viene sì posta in essere, ma solo per iniziative il cui ammontare è considerevole. Ma il nostro sistema economico è rappresentato sostanzialmente da piccole e medie imprese. Questo tessuto può essere assistito meglio da banche che realmente hanno la conoscenza del territorio. Ovvero questa conoscenza la
facciano: ti conosco, posso finanziarti. Un esempio sul ruolo delle piccole banche locali è costituito dall’esperienza di Enzo Ferrari il quale riuscì ad ottenere un finanziamento proprio da una piccola banca locale dell’epoca: dal banco San Geminiano e San Prospero. Oggi le banche potrebbero dare un forte segnale sul finanziamento della green economy, sul finanziamento delle fonti rinnovabili, delle energie alternative; tema quanto mai attuale. Il presidio delle banche che col territorio si integra in modo organico, ha dimostrato di poter sostenere in modo efficace l’economia dei territori. Le imprese, fondano le loro prospettive su idee, coraggio ambizioni, sogni, sulla capacità di sfidare le difficoltà, di guardare oltre gli ostacoli. Le imprese fondano quelle prospettive sulla determinazione e sulla fiducia, sulla capacità di aggregare intorno a una visione. Noi possiamo finanziare tutto questo, o magari la sola fiducia che l’imprenditore ha posto nel suo progetto? No. Ma possiamo certamente riconoscerlo, valutarlo e sostenerlo favorendo il corretto orientamento di queste straordinarie energie. Nessuno ci impedisce di comportarci comunque come dei partner. Non è forse nostro interesse, come soggetti privati o come sistema, favorire lo sviluppo dell’economia? Abbiamo le competenze per valutare la rischiosità di un finanziamento ma abbiamo anche le competenze per aiutare i nostri clienti a fare valutazioni di posizionamento strategico, di valutazione dei rischi e sul loro core business. Sono questi semplici esempi di “dotazioni professionali”. Una banca deve sforzarsi a fornire servizi su misura, direi con un taglio finanziario sartoriale! La maggior parte delle piccole e medie imprese, che come detto sono un pilastro dell’economia del paese, raraente può contare su consulenti specializzati. Vi sono però una serie di strumenti per facilitare o stimolare il business che possiamo rendere disponibili all’economia: opportunity audit, valutazioni sul quadro strategico o analisi di comparto; attività queste che non hanno la pretesa di fornire risposte o sostituirsi alla genialità dell’imprenditore, bensì quella di stimolare riflessioni, quelle riflessioni che aiutano l’imprenditore a orientare le sue decisioni e scelte, a fare valutazioni operative ad un maggior livello di dettaglio, a spostare l’orizzonte temporale della sua visione verso il medio/lungo periodo. Una banca proattiva, che si interessa al business, che lo comprende nello spirito e nei processi organizzativi non è più un fornitore di servizi ma diviene un partner che aiuta a scorgere in anticipo le nuove opportunità, o magari le insidie e a comprendere meglio dinamiche di scenario e di arene competitive. Una banca è un crocevia di incontro e di scambio di esperienze, è un network di relazioni, stimola riflessioni appropriate ed è un partner prezioso e insostituibile. Ma il ruolo della banca, con riferimento alle 3 “C” che caratterizzano il titolo del convegno, è parimenti importante anche per quanto riguarda i temi della concorrenza e in particolare della corruzione. La concorrenza è ovviamente sana se è competizione leale all’interno della quale esistono dei valori. Quando sono rispettate le regole. Quando non è fine a se stessa. Quando è caratterizzante e distintiva. Solo a queste condizioni l’economia prospera e cresce. Questo argomento, comunque, è stato trattato sapientemente dall’illustre Relatore che mi ha preceduto. Ma la concorrenza ha un nemico giurato: la corruzione. Quì il ruolo sociale della banca non si ferma alla intermediazione. Un aspetto di grande rilevanza è costituito dalla funzione del sistema nell’ambito della corruzione, in particolare per quanto attiene la questione del riciclaggio dei proventi illeciti. Il reato di riciclaggio, comparso in modo preoccupante sul finire degli anni 80, riveste una particolare pericolosità sia economica che sociale. Tale reato si colloca nella parte finale della “filiera criminale” e consente alle organizzazioni del “male affare” di consolidare il proprio potere ed ampliare la propria influenza nel sistema dell’economia legale. E’ un “ponte di collegamento” fra criminalità organizzata e società civile. I proventi illeciti accolti ed integrati nel sistema consentono a questi soggetti, di inserirsi a pieno titolo nei processi decisionali rilevanti. La concorrenza diventa sleale e la prevaricazione di soggetti criminali sugli operatori economici onesti diventa allarmante. L’FMI ha stimato che a livello mondiale il fenomeno del riciclaggio raggiunge valori intorno al 5% del PIL. Nel nostro Paese tale condotta criminale, purtroppo, raggiunge risultati mediamente superiori al 10% del PIL. Questi, sono i motivi principali per i quali la lotta al riciclaggio assume un’importanza vitale nel mondo e con maggiore evidenza nel nostro Paese. Un Paese caratterizzato, tra l’altro, da una forte presenza criminale in alcune aree, che conseguentemente denotano una crescita economica compressa. In tale aree le imprese sopportano un costo del credito più alto, un’ assenza di attrazione di investimenti ed altissimi costi sociali.
In questo quadro si colloca, quindi, il ruolo anche sociale delle Banche. Strutture imprenditoriali che hanno la necessità di guardare si al proprio conto economico, ma che per interessi generali assumono un ruolo di “collaborazione attiva” finalizzata alla prevenzione e al contrasto del riciclaggio. L’intensità e la qualità di detta collaborazione fa si che le strutture bancarie si collochino in “prima linea” nella lotta a tali fenomeni criminali. Il recepimento della terza direttiva comunitaria 2005/60/CE, da parte del nostro legislatore, ha introdotto nel sistema italiano la regola della cd. “customer duediligence”. In particolare gli operatori sono tenuti ad effettuare un’ “adeguata verifica” dei propri clienti. Attività che impone, in modo preventivo, di valutare ed individuare il profilo di rischio legato alla tipologia del cliente e delle operazioni poste in essere dallo stesso. Con tale regola si capovolge definitivamente il vecchio concetto “pecunia non olet” che aveva caratterizzato, nei tempi passati, la condotta imprenditoriale in generale. Il ruolo attribuito dalla normativa di riferimento e dai principi “Etici” internazionali pongono le Banche in prima linea nella lotta al riciclaggio. Esse hanno il compito di valutare attentamente le singole operazioni proposte dai propri clienti, rifiutare quelle per le quali si intravede un sospetto di riciclaggio e segnalarle alle autorità competenti.
Esse, quindi, rappresentano per l’economia legale importanti ed indispensabili “presidi” finalizzati alla prevenzione e alla lotta alla criminalità. Significativi sono i risultati ottenuti nei quasi 4 anni trascorsi dal decreto legislativo 231/2007 ai quali gli intermediari bancari e finanziari hanno dato il contributo maggiore. Infatti le segnalazioni di operazioni sospette da parte di quest’ ultimi sono state: nell’anno 2007 circa 12.500, nell’anno 2008 + 16%, nell’anno 2009 + 44%, nell’anno 2010 + 77%.
Se tali risultati si confrontano con quelli raggiunti dagli altri soggetti (professionisti ed altri operatori) la differenza dimostra quanto sia determinante il lavoro svolto dagli intermediari bancari e finanziari in tal senso. Le segnalazioni di operazioni sospette degli altri soggetti (professionisti e altri operatori) sono state: nel 2008 solo 173, nel 2009 solo 136, nel 2010 solo 223.
Le segnalazioni hanno contribuito ad aprire quasi 5.000 procedimenti penali presso le procure della Repubblica competenti e riferiti a reati di riciclaggio, estorsione, abusivismo finanziario, usura, frode fiscale e truffa. Tali dati sono stati anticipati alla fine di gennaio 2011 dal Comandante Generale della Guardia di Finanza, presso la VI Commissione Finanze alla Camera dei Deputati. Possiamo senz’altro affermare che gli anni trascorsi dalla prima normativa “antiriciclaggio” nata nel lontano 1991, hanno consolidato, nelle istituzioni bancarie tutte, una cultura aziendale diffusa e proiettata verso principi etici e condotte legali. Tale assunto si manifesta in modo più evidente nelle realtà aziendali di piccole dimensioni dove il rapporto diretto con il territorio è fattore di vantaggio e conseguentemente motivo di approfondita conoscenza della propria clientela. Da un lato quindi la banca grande o piccola che sia come strumento di sviluppo per la crescita, dall’altro invece la banca come una sentinella, a salvaguardia e a tutela delle regole e del mercato“.