Sfiducia a Bondi, l’On. Bossa e il pene restaurato alle statue del Premier
ROMA – Oggi alle 17 il Parlamento è chiamato a votare la “sfiducia” al Ministro per i BB.CC. Sandro Bondi e l’iniziativa rischia di tradursi in un buco nell’acqua da parte delle opposizioni qualora mancassero i numeri per le assenze di numerosi parlamentari tra le forze proponenti la mozione. Tant’è che, consapevole di questa evenienza, la conferenza dei capigruppo ha bocciato la proposta delle opposizioni di far slittare il voto alla prossima settimana e così il Presidente del Consiglio azzarda sulla pelle del suo Ministro un braccio di ferro che, in caso di bocciatura della mozione, può risolversi positivamente in termini di immagine politica. Per la seconda volta in un mese l’opposizione confermerebbe di non avere i numeri per ribaltare la situazione e per Berlusconi si tratterebbe di tirare un sospiro di sollievo in un momento molto delicato per le note vicende. Riportiamo di seguito l’intervento pronunciato il aula dalla parlamentare del PD On. Luisa Bossa che riassume le ragioni di questa iniziativa voluta dal PD, dall’IDV e dalle altre forze di minoranza fra cui anche il Terzo Polo finiano.
“Signor Presidente, signor Ministro,
voglio dare un po’ di numeri. Sedici miliardi di euro, 17mila aziende, 300mila lavoratori. Sono i numeri dell’industria culturale italiana relativamente al cinema, alla musica, e a tutte le attività collaterali. A questo va aggiunto tutto quello che si muove intorno a musei, teatri, siti archeologici. Con l’immenso indotto in termini di ricettività alberghiera e della ristorazione. Una fabbrica enorme e diffusa che dà lavoro e porta ricchezza. Continuiamo con i numeri. Un miliardo e mezzo di euro, pari allo 0, 21 per cento della bilancio dello Stato. Questo è quanto si spende in Italia, sul versante pubblico, sulla cultura. In Francia, nonostante la dura situazione economica, gli investimenti sulla cultura sono stati addittura aumentati al 2,2 per cento del bilancio dello Stato.
In sostanza, noi spendiamo sulla cultura lo zero virgola ventuno per cento del bilancio dello Stato, la Francia spende il due virgola due per cento.
Una sproporzione enorme, evidente. C’è da meravigliarsi se, a fronte di queste cifre, il primo museo italiano in termini di numero di visitatori è al settimo posto della classifica, molto dietro al Louvre e al Centre Pompidou di Parigi?
Continuo con i numeri. Il Fondo unico per lo spettacolo nel 2008 era finanziato per 450 milioni di euro. Nel 2011, per 258 milioni di euro. Nonostante le tante assicurazioni, la cifra resta questa. Un taglio radicale, quasi un dimezzamento. A questo vanno aggiunte le soppressioni di enti culturali, a volte importanti, e la riforma degli enti lirici.
Negli ultimi anni, un po’ alla volta, alla cultura in questo paese sono stati sottratti centinaia di milioni di euro, creando un danno non solo al nostro patrimonio ma anche alla nostra economia, alla nostra occupazione, al nostro sviluppo. Di fronte alla sottrazione sistematica di risorse alla cultura come ha reagito il Ministro Bondi? Con una lamentazione, che però si è rivelata fine a se stesso. Eppure il Ministro, che è anche coordinatore nazionale del maggior partito italiano, non manca di peso politico, almeno sulla carta. Gli hanno fatto a pezzi il budget e lui è rimasto immobile.
Signor ministro, il mio intervento, che parte da numeri e da dati oggettivi, nasce con una considerazione di profondo rispetto che si deve non solo alla sua carica ma anche alla sua persona, perché lei, Ministro, al di là dell’asprezza nella polemica personale a cui il suo ruolo di berlusconiano di trincea la costringe, è un uomo che, in Parlamento, quando ha dovuto rispondere alle mie interrogazioni e ai miei interventi, ha sempre avuto garbo e profondità, alimentando in me, come in altri, l’idea di un doppio Bondi: uno con l’elmetto, quando si tratta di difendere il capo, e un altro con la penna del poeta, quando si tratta di ragionare.
Io vorrei rivolgermi al “secondo” Bondi, e parlare, con onestà, di tutto quello che sta succedendo alla cultura in questo Paese. Tagli per un verso, crolli per un altro verso. Nessun progetto di rilancio, nessuna prospettiva.
Quando il Partito democratico ha depositato la mozione di sfiducia che è oggi in discussione, il ministro ha detto di provare “un sentimento di profonda tristezza dinnanzi al volto sfigurato della sinistra”.
Curiosa la metafora usata dal Ministro: Volto sfigurato. Quanto mai appropriata alla discussione che stiamo conducendo.
Per fortuna la Sinistra non è nelle disponibilità del presidente Berlusconi, altrimenti, con il suo “volto sfigurato”, correrebbe il rischio di essere sottoposta ad un restauro estetico, come quello fatto alla statua di Venere e Marte, che campeggiano a palazzo Chigi. Alla prima è stata riattaccata una mano, al secondo è stato riattaccato l’organo genitale.
Qualche buontempone ha azzardato ipotesi fantasiose sulla nuova mano di Venere e sul nuovo pene di Marte ma lasciamo stare.
Non possiamo lasciar stare invece il titolo del giornale britannico Guardian: «Nuovo pene per statua nell’ufficio di Berlusconi» ha scritto. “L’entusiasmo di Silvio Berlusconi per la chirurgia estetica è ben documentato, ma ancora non si sapeva che si estendesse ai genitali o alla scultura classica», ha ribadito il corrispondente John Hooper.
Ecco a cosa è stata ridotta la patria di Michelangelo.
Altro che volto sfigurato della sinistra. Qui viene sfigurata l’anima di un Paese che ha nelle radici culturali, nella sua straordinaria tradizione, nel reticolo di testimonianze, la sua più florida risorsa, e che oggi viene ridotta a comica da avanspettacolo o a tragedia. Riattacchiamo il pene alle statue di Berlusconi e lasciamo crollare i più importanti reperti archeologici del Paese. Il Ministro Bondi ha detto che la mozione che discutiamo oggi gli infligge “uno stato di angosciosa mortificazione”.
Ecco: non avrei saputo trovare parole più adeguate per descrivere il mio stato d’animo quando arrivano le notizie di crolli a Pompei, o come di recente addirittura di incendi nei container che ospitano gli uffici. Tutti avvenimenti di cui il Ministro ha detto di non sentirsi responsabile. Io capisco questa posizione. Il Ministro dà l’indirizzo politico e non si sente colpevole se nella gestione si sono sciatterie, errori, eccetera. Ma è un atteggiamento un po’ di comodo. Se è vero che potrebbe non esserci una responsabilità diretta, è anche vero che di sicuro c’è una responsabilità politica. Altrimenti a che cosa serve la politica, se non a prendersi le responsabilità? La responsabilità delle soluzioni, e la responsabilità dei problemi irrisolti. Perché una cosa è certa: in un paese civile e democratico, un fatto come il crollo di un sito archeologico così importante non può avvenire senza che sia individuata, e colpita, una responsabilità. Se non è lei il responsabile, Ministro Bondi, chi lo è? Di chi è la colpa? Della pioggia? Vogliamo spiegare al mondo che un sito archeologico che ha resistito a terremoti, alluvioni, bombardamenti, crolla per colpa di un temporale e di una infiltrazione in un terrapieno?
Se ne ha il coraggio lo sostenga. Lo dica qui, pubblicamente. Lasci agli atti e alla storia di questo Paese, una versione così ridicola. Altrimenti ci dica chi è il responsabile di un tale disastro. Oppure, infine, se ne assuma la responsabilità politica, così come fanno le alte cariche dello Stato quando un fatto grave avviene nel proprio Paese e nel proprio perimetro di competenza. Quello che è successo, e continua a succedere, a Pompei non sono episodi isolati né il frutto di una calamità. Lo dimostra, tra le altre cose, il documento firmato da 17 sovrintendenti archeologici, compresa quella ad interim di Pompei e Napoli. «È tempo che la cultura dell’emergenza – scrivono i sovrintendenti – ceda il passo a quella della manutenzione, ordinaria e straordinaria».
Ecco il punto. La valorizzazione non è un concetto mediatico ma un attento e paziente lavoro di monitoraggio, il personale da impiegare non è manageriale o prefettizio ma un’attenta schiera di tecnici, di restauratori, di manutentori, di operai specializzati, di archeologi, di esperti della valorizzazione e della promozione.
A Pompei, in questi anni, nelle vesti di commissario per gli scavi si sono avvicendati un prefetto e un funzionario della protezione civile. Non figure specializzate, non esperti, non tecnici del settore. C’è un nesso tra questa gestione e il crollo della Casa dei gladiatori? Io sostengo che il nesso è evidente. Ho presentato alla sua attenzione, solo quest’anno, due interrogazioni sugli scavi di Pompei. La prima, a gennaio scorso, la seconda a giugno. Denunciavo il degrado interno agli scavi e il fatto che si stessero conducendo lavori con mezzi pesanti, mettendo a rischio la stabilità delle vecchie dimore. Lei in entrambe le occasioni ha risposto parlando di allarmi ingiustificati e di procedure corrette. Quello che è successo dimostra che, invece, le preoccupazioni erano ben fondate. La notizia del nuovo crollo, quindi, non arriva all’improvviso. Arriva dopo innumerevoli allarmi e dopo che lei ha sempre minimizzato.
Continua a ritenersi non responsabile del crollo a Pompei? Continua a non indicarci chi sono i responsabili? Continua a credere che una cosa così possa essere archiviata come “colpa di nessuno”, anzi come colpa della pioggia? Io le chiedo, in questa aula, oggi, signor Ministro: se il responsabile è lei si dimetta. Se il responsabile non è lei, chi è? Ce lo dica. Se insiste con la storia della pioggia finiremo con il dover dare ragione allo scrittore Erri De Luca, che ha chiesto allo Stato di ricoprire gli scavi in modo che il terreno preservi più di quanto non sia capace di fare l’uomo.
Vede, sig. Ministro, io, pur essendo una deputata nominata dal mio partito, come tutti qui, ho alle spalle una certa esperienza di radicamento sul territorio. Mi fregio di essere stata sindaco, per dieci anni, della mia città. E la mia città si chiama Ercolano.
Ercolano è legata a Pompei da un filo di destino e bellezza. Siamo vesuviani e condividiamo la memoria della tragedia e la forza della storia. L’area archeologica di Ercolano “parla” con quella di Pompei, è una tappa di un percorso comune. Da sindaco, e da cittadina vesuviana, io ho memoria di una manutenzione certosina, quotidiana: gli scavi erano, per noi, un luogo di una sacralità laica che è difficile da spiegare. C’erano squadre di muratori che li curavano quotidianamente, c’erano operai e sentinelle. Oggi, di fronte alla tragedia, la sento invocare managerialità. Mi consenta di dirle che lei sbaglia. Gli scavi non hanno bisogno di figure mercantili che pensino solo a farne business. Certo, è importante dargli dinamicità economica e promozione turistica. Ma innanzitutto va salvata la bellezza. Prima dei manager, ci vogliono i muratori. Prima dei business-man ci vogliono manutentori. E non solo a Pompei ed Ercolano.
In una interrogazione le ho fatto l’elenco impressionante dei siti archeologici e storici della provincia di Napoli che versano in condizioni disastrose. Anche la situazione dei Campi flegrei, per esempio, è drammatica. Da Pozzuoli a Bacoli e fino a Cuma, anfiteatri, templi, necropoli sono chiusi. Siti importanti come il rione Terra di Pozzuoli, l’antico stadio Antonino Pio, le necropoli di San Vito e di via Celle, soffocano tra sterpi e rifiuti. Il tempio di Serapide, sempre a Pozzuoli, è diventato una sorta di palude, sommerso per metà da un pantano d’acqua fetida dove si annidano insetti. Il museo archeologico di Baia (con le sale del nuovissimo allestimento) è chiuso; lo stesso vale per il mausoleo di Fescina a Quarto, per l’antica cisterna romana delle Cento Camerelle a Bacoli, per l’antica Tomba di Agrippina, sempre sulla marina di Bacoli.
Un panorama desolante che, questo sì, è il volto sfigurato dell’Italia più bella; una situazione di degrado che, questa sì, infligge “uno stato di angosciosa mortificazione”.
Ministro Bondi, mi rivolgo al suo doppio. Al poeta, non allo scudiero del re. Si assuma le sue responsabilità e si dimetta. Intanto io, da buon napoletana, faccio un auspicio che è anche uno scongiuro: che il prossimo reperto archeologico a crollare sia il governo di cui lei fa parte, Ministro Bondi, così almeno salviamo quel che resta della cultura in questo Paese.