Contratto di mutuo sostegno, il disegno di legge presentato dal Sen. Raffaele Lauro
2. Nell’ambito del generale fenomeno della convivenza, è possibile individuare una molteplicità di tipologie, anche se quanti si occupano di schemi familiari distinguono due tipologie principali: forme giuridiche presuntive e forme giuridiche opzionali. Nelle forme giuridiche opzionali il riconoscimento della famiglia alternativa richiede che i partner pubblicizzino questa loro necessità, da cui discende la presenza di una registrazione di questa forma familiare con le modalità più disparate. Al contrario, nelle forme giuridiche presuntive, non vi è necessità di dare pubblicità alla sussistenza della relazione di fatto, ma è il diritto che, in presenza di certi requisiti, come ad esempio la coabitazione per un certo numero di anni, attribuisce ai partner diritti reciproci e nei confronti dello Stato. La forma giuridica presuntiva è stata scelta dagli ordinamenti che avevano maggior timore di non tutelare il partner debole della coppia, dato che nella forma giuridica opzionale bisogna comunque addivenire ad una registrazione consensuale, mentre in quella presuntiva è sufficiente una situazione di fatto, cioè il fare coppia.
L’esistenza di una relazione affettivo-sessuale distingue le forme giuridiche alternative al matrimonio da quelle che invece sono considerate unioni di mutuo soccorso, che possono sussistere, ad esempio, tra partner anziano e partner giovane o tra studenti coabitanti.
Spesso gli ordinamenti ignorano quale tipo di rapporti personali debbano esistere. Tale silenzio lascia intendere il massimo rispetto della libertà personale.
In ogni caso, al di là dei reciproci rapporti patrimoniali e personali che si vengono (o si possono venire) a creare fra i partner dei nuclei familiari strutturati secondo le nuove forme giuridiche qui in esame, l’accesso a tali nuove forme familiari comporta anche che tali partner beneficino, nei confronti dello Stato, di alcuni diritti che l’ordinamento statale dapprima riconosceva solamente ai coniugi, ovvero alle coppie di fatto. Si tratta, ad esempio, del diritto di beneficiare del medesimo trattamento fiscale di una coppia di coniugi ovvero di alcuni diritti riconosciuti ai pubblici dipendenti rispetto ad avvenimenti relativi all’altro coniuge (permesso per morte o malattia grave del partner, riduzione dell’orario di lavoro in caso di partner incapace). Quanto ai rapporti di filiazione, i primi esperimenti di schemi familiari alternativi al matrimonio, quelli danese, olandese e dei Paesi scandinavi, non contenevano disposizioni in materia di rapporto di filiazione nella partnership registrata. Però oggi la tendenza si è invertita: gli ordinamenti della Germania, dell’Olanda e della Danimarca, con alcune modifiche, e anche la recente disciplina inglese della partnership, tutti prevedono, ormai, la possibilità per i partner, anche se non uniti in matrimonio, di ricorrere all’istituto dell’adozione sia di un bambino esterno alla coppia, terzo rispetto alla coppia, sia del bambino dell’altro partner. In riferimento allo scioglimento del rapporto, vi è un’assoluta valorizzazione della volontà delle parti. Basta la semplice dichiarazione di volontà di uno dei partner per sciogliere, ad esempio, il PACS francese o la partnership registrata danese. L’ordinamento tedesco è un po’ più rigoroso, in quanto occorre aspettare da uno a tre anni prima dello scioglimento. Dal punto di vista patrimoniale, in caso di scioglimento del rapporto, quasi tutti gli ordinamenti dettano una disciplina ad hoc a tutela del partner più debole. Soltanto l’ordinamento francese rimette anche i rapporti patrimoniali conseguenti allo scioglimento del rapporto all’autonomia delle parti, sebbene vi sia un certo intervento del giudice.
I Paesi scandinavi sono stati tra i primi in Europa a prevedere una disciplina in materia di unioni di fatto. Tra le varie possibilità di regolamentazione di tale tipo di rapporti, la soluzione prescelta è stata quella di introdurre un nuovo istituto, quello delle unioni o convivenze registrate, destinato alle coppie omosessuali.
Matrimonio e unione registrata, dunque, sebbene formalmente distinti, ricevono una regolamentazione che è sostanzialmente identica.
In particolare, la Danimarca è stato il primo paese europeo a dare la possibilità a due persone dello stesso sesso di registrare la loro unione, in seguito all’adozione della legge 7 giugno 1989, n. 372 (“Lov om registreret partnerskab“). Mediante un generale rinvio alle disposizioni del diritto danese riguardanti il matrimonio, la legge in esame garantisce alle coppie che hanno provveduto a registrare la propria unione gli stessi diritti riconosciuti alle coppie sposate. Le eccezioni riguardano principalmente il diritto alla fecondazione assistita e all’adozione. Le coppie la cui unione è stata registrata non possono infatti adottare insieme un bambino. Tuttavia, è consentita l’adozione, da parte di uno dei partner, del figlio che l’altro partner abbia avuto dalla relazione con un soggetto terzo. Non vi è invece una disciplina generale in materia di convivenza informale, anche se alcune disposizioni normative specifiche vi ricollegano taluni effetti giuridici .
In Islanda, l’unione registrata tra due persone dello stesso sesso è stata introdotta dalla legge 4 giugno 1996, n. 87 (“Lög um staðfesta stamvit“), anch’essa sostanzialmente identica alla legge danese. L’unione, che può riguardare esclusivamente due persone dello stesso sesso, è registrata da un giudice, nel corso di una cerimonia analoga a quella prevista per il matrimonio fra due persone di sesso diverso. A differenza di quanto avviene in Danimarca, a partire dal 2006 le coppie omosessuali islandesi hanno accesso all’adozione e alla fecondazione assistita.
In Finlandia, dal 2002 (legge 9 novembre 2001, n. 950 – “Laki rekisteröidystä parisuhteesta“) è possibile l’unione registrata di due persone dello stesso sesso di età superiore ai 18 anni: le coppie possono usufruire della maggior parte dei diritti matrimoniali, tra cui il diritto all’eredità, al divorzio e all’adozione. Anche in Finlandia l’unione registrata è possibile solo fra persone dello stesso sesso.
La Norvegia e la Svezia avevano inizialmente leggi sulla unione registrata, analoghe a quella danese (in Norvegia, la legge 30 aprile 1993, n. 40 (“Lov om registrert partnerskap“; in Svezia, la legge 23 giugno 1994 [“Lag (1994:1117) om registrerat partnerskap“]). Tali leggi sono state abrogate nel momento in cui i suddetti paesi hanno introdotto il matrimonio tra persone dello stesso sesso. In Svezia è tuttora in vigore la legge sulla convivenza domestica del 2003. Per conviventi si intendono due persone che vivono insieme come coppia in maniera stabile e che possiedono un’abitazione comune. La legge si applica dunque sia alle coppie di sesso differente che a quelle dello stesso sesso. La legge in questione adotta un sistema presuntivo: essa si applica dunque indipendentemente dal compimento di atti formali, per il solo fatto della sussistenza di una convivenza. Essa disciplina i profili patrimoniali del rapporto tra i conviventi e, in particolare, il regime dei beni comuni in costanza di convivenza e successivamente alla fine della stessa.
L’istituto giuridico della “convivenza registrata” (eigentragene Lebenspartnerschaft) è stato introdotto in Germania dalla legge per la cessazione della discriminazione nei confronti delle coppie o dei conviventi dello stesso sesso (“Gesetz zur Beendigung der Diskriminierung gleichgeschlechtlicher Gemeinschaften: Lebenspartnerschaften“) del 16 febbraio 2001, entrata in vigore il 1 agosto successivo. Analogamente a quanto previsto negli ordinamenti scandinavi, la legge tedesca sulla convivenza registrata è rivolta esclusivamente a coppie omosessuali, legate da un rapporto affettivo-sessuale. La legge sulla convivenza registrata non equipara a tutti gli effetti la convivenza al matrimonio, pur applicando alle persone che decidono di costituire tale forma di convivenza disposizioni analoghe a quelle contenute nel codice civile per la disciplina del matrimonio. Perché due persone dello stesso sesso possano dar vita ad una convivenza registrata, devono dichiarare reciprocamente, personalmente e in contemporanea presenza dinanzi all’autorità competente, di voler condurre una convivenza a vita. Come i coniugi uniti in matrimonio, anche i conviventi hanno un obbligo di assistenza e sostegno reciproci, nonché di organizzazione della vita in comune. La convivenza registrata conferisce gli stessi diritti del matrimonio in materia di cittadinanza (ad esempio la procedura agevolata per ottenere la naturalizzazione) e assicura il diritto alla ricongiunzione per le coppie conviventi straniere.
In Lussemburgo, la legge 9 luglio 2004 riconosce taluni effetti giuridici ad alcune forme di unione, anche alle coppie dello stesso sesso, registrate presso l’ufficiale di stato civile della città di residenza. La normativa lussemburghese presenta dunque una prima differenza rispetto a tutte quelle esaminate finora, in quanto introduce un istituto al quale possono fare ricorso anche le coppie costituite da soggetti di sesso diverso.
In Svizzera, il 18 giugno 2004 è stata approvata la “Legge federale sull’unione domestica registrata di coppie omosessuali” (LUD): approvata anche dal referendum del giugno 2005, essa è entrata in vigore il 1 gennaio 2007. È stabilito che due persone dello stesso sesso possono far registrare ufficialmente la loro unione domestica. In tal modo si uniscono in una comunione di vita con diritti e doveri reciproci. Il loro stato civile è “in unione domestica registrata”.
Anche la Francia ha optato per l’introduzione di un istituto governato da una disciplina autonoma e differente da quella del matrimonio. Esso è caratterizzato dall’importante ruolo demandato all’autonomia negoziale dei soggetti coinvolti. La legge n. 99-944 del 15 novembre 1999 definisce la nuova forma di unione – il patto civile di solidarietà (PACS) – come un contratto concluso tra due persone maggiorenni, dello stesso sesso o di sesso diverso, al fine di organizzare la loro vita in comune (art. 515-1 del codice civile). L’art. 1 della legge introduce nel libro I del codice civile un Titolo XII intitolato “Du pacte civil de solidarité e du concubinage“. Pena la nullità assoluta, il patto civile di solidarietà non può essere concluso tra persone già sposate o legate da un precedente PACS e tra ascendenti e discendenti in linea retta, tra parenti in linea retta e tra collaterali, sino al terzo grado incluso (circostanza che già di per sé esclude che il PACS possa essere considerato come un mero strumento di mutua assistenza). Il PACS comporta una serie di obblighi: i partners si impegnano in primo luogo a condurre una vita in comune, che, come ha precisato il Conseil constitutionnel, non consisterebbe solo nella “comunione di interessi” (“communauté d’intérêts“) e nell'”esigenza di coabitazione”, ma soprattutto nella “residenza in comune” e nella “vita di coppia” (“véritable vie de couple“). Anche tale circostanza sottolinea come il PACS sia ricondotto all’ambito delle relazioni affettivo-sessuali e non alle mere unioni di mutuo soccorso. I partner assumono altresì l’impegno all’assistenza reciproca e all’aiuto materiale. I partner sono solidalmente responsabili nei confronti dei terzi per le obbligazioni assunte da ciascuno di loro per soddisfare i bisogni della vita quotidiana. La solidarietà non si applica in caso di spese manifestamente eccessive. Salvo patto contrario, ciascun partner conserva l’amministrazione, il godimento e la disponibilità dei propri beni personali. Ciascuno resta obbligato per le obbligazioni personali sorte precedentemente o durante il patto. Il PACS differisce dalla convivenza, definita dall’art. 518-1 del codice civile francese “un’unione di fatto, caratterizzata dalla vita in comune, stabile e continuativa, tra due persone di sesso differente o dello stesso sesso, che vivono in coppia”. Alla convivenza sono ricollegati effetti giuridici più limitati (ad esempio, in campo previdenziale).
Il Portogallo ha optato per un sistema in cui, indipendentemente dalla sottoscrizione di un atto formale, i conviventi, al verificarsi di determinate circostanza previste dalla legge, si vedono riconosciuti una serie di diritti. Nel 2001 sono state approvate due leggi che hanno disciplinato, rispettivamente, le situazioni giuridiche della “economia comune” (“Lei n. 6/2001, de 11 de maio, adopta medidas de protecção das pessoas que vivam em economia comun“) e della “unione di fatto” (“Lei n. 7/2001, de 11 de maio, adopta medidas de protecção das uniões de facto“). La legge n. 6 del 2001 si applica alle persone che, da più di due anni, vivono in “economia comune”, definita come la situazione di persone che vivano in comunione di vitto e alloggio da più di due anni ed abbiano stabilito un genere di vita comune basato sull’assistenza reciproca o la ripartizione delle risorse. La legge n. 7 del 2001 intende, a sua volta, regolamentare “la situazione giuridica di due persone, indipendentemente dal sesso, che vivano un’unione di fatto da più di due anni”. Mentre l’economia comune rientra nell’ambito delle unioni di mutuo soccorso, l’unione di fatto costituisce una relazione affettivo-sessuale. Si segnala che l’Assembleia da Repùblica portoghese ha recentemente approvato una legge che introduce il matrimonio tra persone dello stesso sesso, che si affianca – senza sostituirle – alle due leggi di cui si è dato conto.
In Gran Bretagna, nel novembre 2004, è stato approvato il Civil Partnership Act, entrato in vigore il 5 dicembre 2005, il cui scopo è quello di consentire a partner dello stesso sesso di ottenere il riconoscimento legale del proprio rapporto attraverso la costituzione di un’unione registrata. La legge in questione è estremamente complessa, in considerazione della tecnica normativa propria del sistema giuridico in esame, che è sempre estremamente dettagliata, e della struttura del Regno Unito, che richiede l’adattamento dei singoli istituti alle peculiarità degli ordinamenti anglo-gallese, nord-irlandese e scozzese. L’Adoption and Children Act del 2002 prevede la possibilità di acquisire la parental responsibility (cioè, sostanzialmente il potere di concorrere ad adottare tutte le decisioni necessarie alla crescita e all’educazione di un minore) sul figlio del partner, qualora quest’ultimo sia a sua volta titolare di tale potestà, sia d’accordo e vi sia anche l’accordo dell’altro genitore. La Law Commission, organo preposto a segnalare al Parlamento l’esigenza di modifiche legislative, sta attualmente conducendo uno studio sull’opportunità di riconoscere formalmente una serie di diritti alle coppie di conviventi che non siano sposati né abbiano sottoscritto una civil partnership.
La soluzione adottata più di recente da alcuni ordinamenti è stata quella di ampliare l’istituto del matrimonio, trasformandolo da un’unione tra un uomo e una donna in un’unione tra due persone. Al contrario delle esperienze esaminate finora, non vi è una duplicazione di istituti, ma un unico istituto – il matrimonio – valido per eterosessuali e omosessuali. Al matrimonio, vengono poi eventualmente affiancate altre forme di convivenza, anch’esse accessibili indipendentemente dal sesso dei partner.
I Paesi Bassi, con la legge 21 dicembre 2000, entrata in vigore il 1 aprile del 2001, sono stati il primo paese al mondo a riconoscere il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Attualmente, le coppie olandesi, indipendentemente dal fatto che siano composte da persone di sesso diverso o dello stesso sesso, hanno a disposizione quattro opzioni: 1) matrimonio; 2) unione registrata (ai sensi della legge 5 luglio 1997); 3) contratto di coabitazione; 4) convivenza non formalizzata. Matrimonio e unione registrata, disciplinati dal codice civile, sono entrambi riconducibili alle relazioni affettivo-sessuali. Conseguentemente, tali istituti sono applicabili solo a coppie (nel senso di unioni formate da non più di due soggetti). Inoltre, i partner devono avere stato libero e non essere legati da rapporti di parentela. Da entrambi i rapporti derivano obblighi di assistenza reciproca e la creazione di rapporti di affinità con i parenti del partner. In entrambe i casi è prevista la possibilità di adottare, indipendentemente dal fatto che i partner siano di sesso diverso o dello stesso sesso (salvo il caso di adozione internazionale, per la quale esistono regole particolari). Il contratto di coabitazione può invece avere il contenuto più vario ed essere dunque riconducibile all’ambito delle relazioni affettivo-sessuali o a quello delle unioni di mutuo soccorso, a seconda delle esigenze dei contraenti (tanto che il contratto può essere anche plurilaterale). I partner possono poi ovviamente scegliere di non formalizzare la propria unione, ma anche in questi casi la giurisprudenza e specifiche disposizioni di legge riconoscono vari diritti.
In Belgio, in un primo momento, la legge 23 novembre 1998, entrata in vigore il 1° gennaio 2000, ha istituito la convivenza legale (cohabitation légale), inserendo nel Libro III del Codice civile un nuovo Titolo V bis, intitolato appunto “Della convivenza legale”, composto dagli artt. da 1475 a 1479. Le disposizioni in esame non fanno riferimento al sesso del partner, lasciando dunque aperta la possibilità che vi possano ricorrere anche coppie omosessuali. Per “convivenza legale” si intende la situazione di vita comune di due persone che hanno fatto una espressa dichiarazione.
Inoltre, la legge 13 febbraio 2003 ha autorizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, modificando alcune disposizioni del codice civile. La legge 18 maggio 2006 (“Loi modifiant certaines dispositions du Code civil en vue de permettre l’adoption par des personnes de même sexe“) ha reso infine possibile l’adozione per le coppie sposate o conviventi legali, indipendentemente dal sesso.
In Spagna, a partire dal 1998, in assenza di una normativa nazionale che disciplinasse le unioni al di fuori del matrimonio, le singole regioni hanno iniziato a legiferare in materia di unioni di fatto, considerando tale aspetto come rientrante tra le competenze proprie di diritto civile, con riferimento particolare alla registrazione dello stato civile, nonché di autoorganizzazione della funzione pubblica. La Catalogna è stata la prima regione ad approvare, nel 1998, una legge sulle unioni stabili di coppia. La legge catalana è divisa in due parti, la prima concernente la unione stabile eterosessuale e la seconda relativa alla unione stabile omosessuale. Dopo la Catalogna altre undici regioni spagnole hanno approvato leggi sulle unioni di fatto, per un totale di 12 regioni su 17. In particolare, si tratta dell’Aragona nel 1999, la Navarra nel 2000, la Comunità di Valencia, le Isole Baleari e la Comunità di Madrid nel 2001, le Asturie e l’Andalusia nel 2002, le Canarie, l’Estremadura ed i Paesi Baschi nel 2003, la Cantabria nel 2005. Non tutte le regioni hanno utilizzato le stesse espressioni. Dopo le “unioni stabili di coppia” (uniones estables de pareja) della Catalogna e le “coppie stabili non sposate” (parejas estables no casadas) dell’Aragona, hanno prevalso le “unioni di fatto” (uniones de hecho) della Comunità di Valencia e di Madrid, le “coppie stabili” (parejas estables) della Navarra, delle isole Baleari e delle Asturie e le “coppie di fatto” (parejas de hecho) dell’Andalusia, delle Canarie, dell’Estremadura, dei Paesi baschi e della Cantabria. In tutti i casi, vi è una definizione univoca del tipo di unione, che lega due persone adulte, indipendentemente dal sesso e dall’orientamento sessuale, con divieto di ogni forma di discriminazione. Talora è richiesto il requisito della convivenza minima per uno o due anni, ai fini dell’iscrizione in appositi registri. Il matrimonio tra persone dello stesso sesso è entrato di recente nell’ordinamento giuridico spagnolo a seguito dell’approvazione della legge 1 luglio 2005 n. 13, con la quale si modifica il codice civile in materia di diritto a contrarre matrimonio, sostituendo i termini “marito e moglie” con “i coniugi” e le parole “padre e madre” con “genitori”. Il matrimonio avrà gli stessi requisiti ed effetti nel caso in cui i contraenti siano dello stesso sesso o di sesso opposto. La legge stabilisce che tutti i diritti e i doveri che hanno le coppie formate da persone di sesso diverso sono estesi anche alle coppie di persone dello stesso sesso che decidono di sottoscrivere un contratto di fronte ad un ufficiale di stato civile. Le modifiche consentono l’adozione congiunta da parte delle coppie omosessuali, o la co-adozione, cioè l’adozione da parte del coniuge della madre o del padre del bambino.
In Norvegia, il 1 gennaio 2009 è entrata in vigore la legge che ammette le coppie formate da persone dello stesso sesso a contrarre matrimonio, con le stesse modalità previste per le persone eterosessuali.
In Svezia, dal 1 maggio 2009, la legislazione in materia di matrimonio non fa più alcun riferimento al genere dei nubendi e la legislazione in materia di unioni registrate è stata abrogata (rimane in vigore quella sulla convivenza).
Anche in Portogallo è stata approvata una legge che autorizza il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
In Islanda, il Parlamento ha recentemente approvato una legge che introduce il matrimonio tra persone dello stesso sesso.
Dopo che l’Austria ha approvato il disegno di legge governativo che riconosce le unione registrate tra persone dello stesso sesso (entrato in vigore il 1 gennaio 2010), attualmente, in Europa occidentale, gli unici Paesi che hanno scelto di non introdurre ancora una disciplina in materia di coppie di fatto sono, oltre all’Italia, l’Irlanda e la Grecia.
In Irlanda, tuttavia, l’opportunità di introdurre provvedimenti legislativi in materia di convivenza è stata negli ultimi anni all’esame della Law Reform Commission (autorità preposta a segnalare al Parlamento l’esigenza di legiferare in determinate materie) che, nel dicembre 2006, ha pubblicato un rapporto ed una bozza di disegno di legge che riconosce la convivenza e conferisce una serie di diritti alle coppie di conviventi, indipendentemente dal fatto che essi siano di sesso diverso o dello stesso sesso. Un disegno di legge governativo in tale senso è attualmente all’esame del Parlamento.
Infine, occorre ricordare che in Argentina, il 15 luglio 2010, il Senato ha definitivamente approvato un disegno di legge recante modifiche al codice civile in materia di matrimonio di coppie formate da persone dello stesso sesso. Analogamente a quanto recentemente accaduto in altri Paesi (da ultimi, Portogallo e Islanda), anche la legge argentina modifica le disposizioni codicistiche in materia di matrimonio, sostituendo alle parole “marito e moglie” il termine “contraenti”. Viene inoltre chiarito espressamente che requisiti ed effetti del matrimonio sono gli stessi, indipendentemente dal fatto che i contraenti siano di sesso diverso o dello stesso sesso. I coniugi dello stesso sesso pertanto potranno adottare. Non è stato necessario modificare la legge sull’adozione, in quanto questa impiegava già il termine neutro “coniugi”, ma la legge appena approvata introduce espresse modifiche al codice civile, ad esempio sul cognome del figlio adottivo di genitori dello stesso sesso.
3. In Italia, appare ormai non più rinviabile una piena assunzione di responsabilità, da parte del Parlamento, affinché sia introdotta una normativa in materia, equilibrata e coerente con il nostro sistema costituzionale.
D’altra parte, la giurisprudenza ha in più occasioni affermato che spetta proprio al legislatore colmare quella che è ormai avvertita da molti come una lacuna dell’ordinamento, attesa la rilevanza sociale delle unioni di fatto, diverse da quelle fondate sul matrimonio.
Nella recentissima sentenza n. 138 del 2010, la Corte costituzionale ha affermato la rilevanza costituzionale delle unioni omosessuali, in quanto “formazioni sociali”, di cui all’articolo 2 della Carta, che prescrive che alla persona debbano essere riconosciuti diritti inviolabili e imposti doveri inderogabili, sia come singolo sia nelle formazioni sociali, in cui si svolge la sua personalità. Alle persone dello stesso sesso unite da una convivenza stabile spetta, secondo la Corte, il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone, nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri. Ciò proprio perché, per formazione sociale, deve intendersi ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione, nel contesto di una valorizzazione del modello pluralistico. Non si può infatti non tenere conto della nascita spontanea di forme diverse, seppur minoritarie, di convivenza, che, ispirandosi al modello tradizionale (la famiglia), chiedono adeguata protezione e un pieno riconoscimento giuridico. Nuovi bisogni, legati anche all’evoluzione della cultura e della civiltà, necessitano di tutela, imponendo un’attenta meditazione sulla persistente compatibilità delle tradizionali interpretazioni con i princìpi costituzionali.
Affermazioni di questo tenore, nel momento in cui si parla di diritti fondamentali, impegnano il Parlamento a intervenire, con urgenza, dal momento che, in caso contrario, si priverebbero le persone coinvolte di diritti costituzionalmente garantiti.
Spetta al Parlamento, dunque, nell’esercizio della sua piena discrezionalità, individuare, nell’ambito applicativo dell’articolo 2 della Costituzione, le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni di fatto, restando riservata ai giudici solo la possibilità di intervenire a tutela di specifiche situazioni.
A fronte della possibile obiezione circa l’incompatibilità di tale soluzione con il sistema costituzionale e con il modello sociale prefigurato dal costituente, la Corte afferma che, in relazione a ipotesi particolari, sarebbe riscontrabile la necessità di un trattamento omogeneo tra la condizione della coppia coniugata e quella della coppia omosessuale. In tal modo, non può più, quindi, sostenersi che non sia possibile creare “contiguità” tra disciplina del matrimonio e disciplina delle unioni di fatto.
Ancora più incisivo è il contenuto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. All’articolo 21, è vietata ogni forma di discriminazione basata sulle tendenze sessuali; all’articolo 9, si afferma che il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia devono essere garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio. Ciò che appare essenziale, nell’articolo 9 della Carta dei diritti, è la distinzione tra il diritto di sposarsi e il diritto di costituire una famiglia. Tale diversificazione, infatti, consente la costituzione legale di unioni, distinte da quelle tra persone di sesso diverso. Nel quadro costituzionale europeo, quindi, avrebbero legittimazione due categorie di unione destinate a regolare i rapporti di vita tra due persone, due categorie che non possono non avere analoga rilevanza giuridica e medesima dignità.
L’esigenza di una regolamentazione giuridica generale si fonderebbe, dunque, sulla “stabilità” della relazione sociale, che costituisce una forma di realizzazione dei soggetti coinvolti. Proprio in forza di questa stabilità, un legame di tale natura risulta, infatti, dotato di una notevole rilevanza sociale e costituzionale.
L’obiettivo del presente disegno di legge è proprio quello di disciplinare una relazione interpersonale già in essere, di cui il diritto prende atto, su esplicita richiesta di coloro che sono interessati. Per questa via, si potrebbe articolare la tutela dei diritti e dei doveri delle persone in modo più convincente e adeguato alla effettiva situazione in gioco, senza focalizzare il ragionamento solo sui diritti dell’individuo, singolarmente considerato.
Certamente, occorre tenere ferme la specificità e l’unicità dell’istituto matrimoniale, che deve restare il luogo in cui rilevanza essenziale assume la differenza tra i sessi. Inteso come unione di un uomo e di una donna aperta alla generazione, il matrimonio rappresenta, infatti, la fondamentale mediazione istituzionale, attraverso la quale la sessualità è socialmente valorizzata.
Il diritto, pertanto, deve continuare a promuovere il matrimonio e la famiglia, difendendoli da rivendicazioni settoriali e minoritarie che potrebbero condurre a modificare il loro senso di istituzione universale ed insostituibile.
Lo stesso diritto, però, al contempo, non può più trascurare di prendere in considerazione la rilevanza sociale delle relazioni interpersonali che si stabiliscono tra i conviventi.
Tali unioni verrebbero disciplinate esclusivamente in ragione dei diritti e dei doveri a cui dà origine una relazione stabile. D’altra parte, già da tempo la Corte costituzionale ha affermato il valore sociale della convivenza more uxorio, ai cui membri deve essere riconosciuta la titolarità di diritti e doveri, e ha legittimato l’ipotesi di una legge ordinaria che disponesse in questo senso, quando le convivenze presentano i caratteri di durata e relativa stabilità.
Il carattere della stabilità è, in definitiva, il dato cui ricollegare il necessario riconoscimento di un rapporto che dia fondamento all’esercizio di diritti e all’adempimento di doveri.
Se si fa riferimento alla stabilità, risultano irrilevanti le caratteristiche dei membri che fanno parte della formazione sociale. Si apre così la via a una pluralità di ipotesi che possono includere convivenze amicali, parentali, di persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Una convivenza di qualunque tipo, che si svolga con una sufficientemente apprezzabile continuità, è indice di un particolare rapporto di affectio. Tale rapporto dà fondamento naturale a una reciproca solidarietà e ad un mutuo sostegno, che l’ordinamento può specificare in diritti e doveri giuridicamente rilevanti.
In definitiva, la rilevanza di una convivenza stabile e il riconoscimento dei diritti e dei doveri dei suoi membri costituisce un contributo all’affermazione dei valori di solidarietà che risultano socialmente apprezzabili e, quindi, giuridicamente tutelabili. Proprio perché si riconosce nella stabilità la fonte di questi diritti e doveri, risulterebbe contrario al principio di uguaglianza escludere da queste garanzie certi tipi di convivenze. Solo il riconoscimento di un rapporto offre titolo cui ancorare i doveri di solidarietà. La stretta relazione tra diritti e doveri può essere facilmente assicurata solo in riferimento a un rapporto riconosciuto sulla base di una documentata stabilità.
In altre parole, la necessità di un riconoscimento comunitario è presupposto indispensabile per rendere efficace la realizzazione di diritti fondamentali, quando essi siano previsti legislativamente e destinati a essere fatti valere nei riguardi della universalità dei soggetti.
La soluzione non può essere l’introduzione di modelli paralleli a quelli matrimoniali, né il ricorso puro e semplice all’autonomia privata.
Nel primo caso, infatti, rischieremmo di ledere il principio del favor familiae, di cui all’articolo 29 della Costituzione; nel secondo caso, non garantiremmo adeguatamente i diritti che, nelle formazioni sociali, sono riconosciuti ai sensi dell’articolo 2 della Costituzione.
Un punto di equilibrio tra divergenti istanze è il riconoscimento del rapporto stabile che, da una parte, si sottrae alla necessità di un’espressa manifestazione di consenso e, dall’altra, assicurando un pieno riferimento ai diritti e doveri richiamati dall’articolo 2 della Costituzione, rappresenta strumento sicuro di individuazione del titolo giuridico che consente l’esercizio dei diritti e l’adempimento dei relativi doveri. Impostato in questi termini, il riconoscimento giuridico del legame tra persone, quale presa d’atto di relazioni già in essere, trova la sua giustificazione in quanto tale relazione sociale concorre alla costruzione del bene comune: prendersi cura dell’altro, stabilmente, è forma di realizzazione del soggetto e al tempo stesso contributo alla vita sociale in termini di solidarietà e condivisione. Il legame viene garantito non nella forma di un privilegio concesso in funzione di una particolare relazione sessuale, ma nella forma di riconoscimento del valore e del significato comunitario di questa prossimità.
Il diritto esaurisce qui il proprio compito, prendendo atto, senza ulteriori precisazioni, di un legame in essere. Non spetta al legislatore indagare in che modo la relazione viene vissuta sotto altro profilo che non sia quello generico della assunzione pubblica, della cura e della promozione dell’altro, che assume tipologie e manifestazioni diverse, fatto salvo il rispetto e la tutela della persona. Una scelta politica che volesse stabilire a priori forme accettabili di espressione di quel legame – in base ad esse riconoscere e garantire determinate tutele – invaderebbe campi che non le appartengono.
4. A questa ratio è ispirato il presente disegno di legge che si compone di 4 articoli.
L’articolo 1 introduce nel Libro I del codice civile un nuovo Titolo XV dedicato al contratto di mutuo sostegno.
In particolare, il nuovo articolo 455-bis definisce il contratto di mutuo sostegno quale contratto concluso fra due o più persone per l’organizzazione continuativa della vita in comune e prevede che ad esso si applichino la disciplina codicistica sui contratti in generale, nonché le leggi speciali vigenti in materia. L’articolo in questione prevede inoltre che il contratto di mutuo sostegno non possa essere stipulato da alcune categorie di soggetti (ad esempio, minori, interdetti, persone non libere di stato, persone tra le quali intercorrano vincoli di parentela).
Il contratto di mutuo sostegno, ai sensi del nuovo articolo 455-ter, si stipula mediante dichiarazione resa dalle parti ad un notaio. L’articolo 455-quinquies prevede che lo straniero regolarmente soggiornante in Italia, che intenda stipulare il contratto, deve osservare le disposizioni relative al matrimonio dello straniero nella Repubblica di cui all’articolo 116, primo e terzo comma, del codice civile. Si tratta, come noto, della norma che prevede l’autorizzazione dell’autorità competente del Paese di provenienza dello straniero dal quale risulta che, per la celebrazione del matrimonio in Italia nulla osta, a tenore della legge cui lo straniero è sottoposto. L’estensione di tale norma anche alla disciplina dei contratti di mutuo sostegno contribuisce a escludere, per quanto possibile, un uso improprio e illegittimo di tale istituto, per finalità estranee a quelle sue proprie, scongiurando così il rischio di trasformare di fatto tali contratti in “contratti di convenienza”.
Decorsi due anni di convivenza, le parti possono chiedere la trascrizione del contratto in un apposito registro presso l’anagrafe (articolo 455-quater). Se le parti, tuttavia, dimostrano documentatamente una convivenza almeno triennale, il termine per la registrazione è ridotto a sei mesi. In presenza di figli naturali riconosciuti, il termine si riduce ulteriormente a tre mesi.
E’ dal momento della registrazione – che, giova ribadirlo, può intervenire solo dopo due anni di convivenza – che dal contratto discendono i diritti ed i doveri reciproci individuati dal nuovo articolo 455-sexies: obbligo della convivenza; obbligo di portarsi aiuto reciproco e di contribuire alle necessità della vita comune; diritti e doveri spettanti ai parenti di primo grado in relazione all’assistenza e alle informazioni di carattere sanitario e penitenziario; diritto all’uso della casa comune e alla reversibilità della pensione, in caso di morte di una delle parti.
Ai sensi dell’articolo 455-septies, il contratto si risolve per comune accordo delle parti ovvero per decisione unilaterale, matrimonio o morte di uno dei contraenti. L’articolo 455-octies disciplina gli effetti della risoluzione.
L’articolo 2 prevede che le parti del contratto di mutuo sostegno rientrino fra coloro ai quali si devolve l’eredità in caso di successione legittima, qualora il contratto sia stato registrato da almeno nove anni. In particolare, le parti del contratto avranno diritto ad un quarto dell’eredità, se concorrono con figli, ascendenti legittimi, fratelli o sorelle; a metà dell’eredità, se concorrono con parenti entro il sesto grado; a tutta l’eredità, se non vi sono parenti.
L’articolo 3 modifica la disciplina della locazione degli immobili urbani, prevedendo che la parte del contratto di mutuo sostegno succeda nel contratto di locazione, in caso di morte del conduttore.
L’articolo 4 stabilisce che i trattamenti da attribuire alle parti superstiti del contratto di mutuo sostegno verranno disciplinati dalla legge in sede di riordino della normativa previdenziale e pensionistica, stabilendo requisiti di durata minima del contratto stesso e tenendo conto dei prevalenti diritti dei figli minori o non autosufficienti.
Articolo 1
(Contratto di mutuo sostegno)
1. Dopo il titolo XIV del libro I del codice civile, è inserito il seguente:
Titolo XV
Del contratto di mutuo sostegno
455-bis. Contratto di mutuo sostegno. Il mutuo sostegno è un contratto concluso fra due o più persone per l’organizzazione continuativa della vita in comune.
Il contratto di mutuo sostegno non può essere stipulato, a pena di nullità:
1) da persona minore d’età;
2) da persona interdetta per infermità di mente;
3) da persona non libera di stato;
4) tra due persone che abbiano vincoli di parentela in linea retta o collaterale entro il secondo grado, o che siano vincolate da adozione, affiliazione, tutela, curatela o amministrazione di sostegno;
5) da persona condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra o sulla persona con la quale l’altra conviveva, nonché da persona condannata per reati di cui agli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-sexies e 609-octies. Nel caso di persona rinviata a giudizio o sottoposta a misura cautelare, la stipula è sospesa fino a quando non è pronunciata sentenza di scioglimento.
Al mutuo sostegno si applicano le norme in materia di contratti di cui al Titolo II del libro IV, ivi comprese le cause di nullità previste dall’articolo 1418 e seguenti, nonché le disposizioni delle vigenti leggi speciali in materia di contratti.
455-ter. Stipulazione del contratto. Il contratto di mutuo sostegno si stipula mediante dichiarazione congiunta davanti ad un notaio competente per il comune di residenza di uno dei contraenti.
La volontà di modificare un contratto di mutuo sostegno in vigore deve essere espressamente e congiuntamente dichiarata dai contraenti davanti al notaio. L’atto che porta le modifiche deve essere unito al contratto originario.
455-quater. Registro dei contratti di mutuo sostegno. Decorsi due anni di convivenza, le parti possono chiedere che il contratto di mutuo sostegno sia trascritto in apposito registro, istituito presso l’anagrafe del comune di residenza di uno dei contraenti, senza ulteriori formalità.
Per le persone che dimostrino una convivenza di almeno tre anni, il termine di decorrenza per la registrazione del contratto è di sei mesi. In presenza di figli naturali riconosciuti, il termine è di tre mesi.
Sullo stesso registro sono annotate le variazioni dei contratti di mutuo sostegno.
455-quinquies. Mutuo sostegno dello straniero nello Stato. Lo straniero regolarmente soggiornante in Italia che intenda sottoscrivere un contratto di mutuo sostegno deve osservare le disposizioni di cui all’articolo 116, commi primo e terzo.
455-sexies. Assistenza. Dalla registrazione del contratto di mutuo sostegno discendono i seguenti diritti e doveri reciproci:
1) le parti contraenti hanno l’obbligo della convivenza; si portano aiuto reciproco e contribuiscono alle necessità della vita in comune in proporzione ai propri redditi, al patrimonio e alle proprie capacità di lavoro professionale e casalingo. Il contratto può prevedere i tempi e i modi della contribuzione di ciascuno;
2) le parti hanno reciprocamente gli stessi diritti e doveri spettanti ai parenti di primo grado in relazione all’assistenza e alle informazioni di carattere sanitario e penitenziario;
3) in caso di morte di una delle parti, le altre hanno il diritto all’uso della casa comune e alla reversibilità della pensione.
455-septies. Risoluzione del contratto di mutuo sostegno. Il contratto di mutuo sostegno si risolve nei seguenti casi:
1) per comune accordo delle parti;
2) per decisione unilaterale di uno dei contraenti;
3) per matrimonio di uno dei contraenti;
4) per morte di uno dei contraenti.
Nel caso in cui intendano risolvere il contratto di comune accordo, le parti rendono una dichiarazione congiunta al notaio che ha ricevuto la dichiarazione iniziale. Nel caso di cui al numero 2 del comma precedente, la parte che intende porre fine al contratto manifesta la propria volontà agli altri contraenti per mezzo di una dichiarazione scritta da inviare in copia all’ufficio dell’anagrafe ove è registrato il contratto di mutuo sostegno. Nel caso di cui al numero 3 del comma precedente, la parte che ha contratto matrimonio deve darne comunicazione all’anagrafe presso il cui ufficio è registrato il contratto di mutuo sostegno, allegando il certificato di nascita sul quale è riportata menzione del matrimonio. Nel caso di cui al numero 4 del comma precedente, i superstiti inviano all’anagrafe presso il cui ufficio è registrato il contratto di mutuo sostegno copia dell’atto di decesso.
È fatta menzione della cessazione degli effetti del contratto a margine di quest’ultimo.
455-octies. Effetti della risoluzione del contratto di mutuo sostegno. Gli effetti della risoluzione del contratto si producono, a seconda dei casi:
1) dal momento della menzione, a margine del contratto, della dichiarazione congiunta;
2) dal novantesimo giorno successivo all’invio della dichiarazione unilaterale di risoluzione alle altre parti e al notaio competente;
3) dalla data del matrimonio o del decesso di una delle parti.
Nel contratto di mutuo sostegno possono essere stabilite le conseguenze patrimoniali della risoluzione per cause diverse dalla morte.
I contraenti procedono autonomamente alla liquidazione dei diritti e delle obbligazioni risultanti dal contratto. In mancanza di accordo, il giudice decide sulle conseguenze patrimoniali della risoluzione del contratto, ivi compreso il risarcimento dei danni eventualmente subiti.
Articolo 2
(Diritti successori)
1. L’articolo 565 del codice civile è sostituito dal seguente:
565. Categorie di successibili. Nella successione legittima l’eredità si devolve al coniuge, ai discendenti legittimi naturali, agli ascendenti legittimi, ai collaterali, agli altri parenti, alle parti del contratto di mutuo sostegno dopo nove anni dalla registrazione del contratto e allo Stato, nell’ordine e secondo le regole stabilite nel presente titolo.
2. Dopo il Capo II del Titolo II del libro II del codice civile è inserito il seguente:
Capo II-bis
Della successione della parte di mutuo sostegno
585-bis. Concorso della parte di mutuo sostegno con i figli, ascendenti legittimi, fratelli e sorelle. Quando le parti del contratto di mutuo sostegno concorrano con figli legittimi o naturali, con ascendenti legittimi o con fratelli e sorelle anche se unilaterali, ovvero con gli uni e con gli altri, hanno diritto ad un quarto dell’eredità.
585-ter. Concorso della parte di mutuo sostegno con altri parenti. Quando le parti del contratto di mutuo sostegno concorrano con i parenti di cui all’articolo 572, hanno diritto a metà dell’eredità.
585-quater. Successione della sola parte di mutuo sostegno. Se alcuno muore senza lasciare parenti entro il sesto grado, alle parti del contratto di mutuo sostegno si devolve tutta l’eredità.
Articolo 3
(Modifiche all’articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392)
1. Al primo comma dell’articolo 6 della legge 27 luglio 1978, n. 392, le parole: “ed i parenti ed affini” sono sostituite dalle altre: “, i parenti ed affini e la parte di contratto di mutuo sostegno”.
Articolo 4
(Disciplina previdenziale)
1. In sede di riordino della normativa previdenziale e pensionistica, la legge disciplina i trattamenti da attribuire alle parti superstiti del contratto di mutuo sostegno, stabilendo requisiti di durata minima del contratto stesso e tenendo conto dei prevalenti diritti dei figli minori o non autosufficienti del defunto.