Gabrielli:La riscoperta delle motivazioni intrinseche
Viviamo un’epoca di straordinari cambiamenti. Forse sa un po’ di retorica, ma comunica ugualmente una consapevolezza profonda: l’esigenza non più rinviabile di nuovi approcci per governare società, politica e economia. La globalizzazione e l’accentuata dimensione assunta dalla mobilità di popoli e persone, le nuove e inconsuete modalità di produzione della ricchezza fondate sulla conoscenza e i suoi effetti moltiplicativi, il permanere di problemi associati alla necessità di individuare più sostenibili meccanismi di distribuzione della ricchezza, insieme alla evidente crisi del lavoro e dei sistemi di welfare nell’occidente, sono soltanto alcune delle questioni che stanno rompendo con il passato e impegnando governi, istituzioni e società civile a un ripensamento senza precedenti. Stiamo guardando in modo diverso anche all’economia; ne scopriamo ora i suoi limiti, quando è costruita su una visione della crescita non sostenibile e su una concezione dell’uomo miope e senza anima. La crisi ci ha risvegliato [Enzo Rullani, Modernità sostenibile, Marsilio, Venezia, 2010] e ora ci ricorda che “l’economia è importante, la felicità di più [Luigino Bruni, L’economia la felicità e gli altri, Città Nuova, Roma, 2004]. Ma la felicità non può essere misurata soltanto con metriche materiali (limitate e discutibili) come la crescita del reddito. Un numero sempre maggiore di studiosi e premi nobel, come Amartya Sen e Joseph Stiglitz, stanno dimostrando con ricerche approfondite che la crescita del PIL non produce sempre aumento di benessere. Hanno un valore importante, in chiave economica, anche i rapporti interpersonali, la fiducia e i legami. Cresce l’apprezzamento, allora, per beni che gettano una luce diversa sull’uomo considerandolo non tanto e non solo agente oeconomicus, ma prima di tutto “persona” guidata da motivazioni intrinseche che vanno ben oltre gli incentivi monetari [Bruno S. Frey, Non solo per denaro, Bruno Mondadori, Milano, 2005]. Sono numerosi i laboratori multidisciplinari di economia sperimentale che stanno lavorando su questo aspetto. Una vera e propria “riscoperta” cui si sta interessando anche il giornalismo più attento a cogliere le dimensioni del cambiamento e dell’innovazione anche a livello antropologico e sociale. Scrive Luca De Biase, uno tra i più competenti ed appassionati interpreti dei legami tra felicità e dinamiche dello sviluppo, commentando alcune iniziative fondate sulla collaborazione gratuita e discreta: “sta di fatto che tutte queste attività funzionano e le persone le portano avanti, pur senza incentivi monetari e senza una chiara razionalità economica. Sicché anche l’impresa sociale potrebbe essere presa in considerazione come un fenomeno meno marginale per la vita delle persone”[ Luca De Biase, “Non sempre l’homo e solo oeconomicus”, Il Sole 24 Ore, 19 settembre 2010]. La vecchia teoria economica, insomma, deve fare i conti con il valore che le persone assegnano ai beni relazionali, ai rapporti con gli altri, ai legami con il territorio, alla fiducia, alla reciprocità. La loro ricerca diventa motivo di comportamenti e decisioni che la tradizionale teoria economica non riesce a spiegare. Non sono dimensioni nuove, tutt’altro. Ma il risveglio dopo la crisi ce le ripropone con significati e potenzialità nuovi, lasciando immaginare per esse un ruolo ben diverso, anche in economia. Ci sono energie che possono aiutare la società a crescere attraverso una visione dell’uomo aperta ed accogliente. Tra queste energie c’è anche la motivazione “non economica” ad agire, ossia quella non sostenuta da incentivi monetari. C’è un gran lavoro da fare, allora, a tutti i livelli. Perché questa consapevolezza richiede ora molta organizzazione e uno stock di competenze adeguate da ri-costruire, formare, consolidare. Certamente è necessario ed opportuno riscrivere regole e incentivi, policy e normative. Ma quello che più manca, rischiando di bloccare il Paese, è una leadership diffusa che sappia “raccontare” con forza e passione questa nuova visione dello sviluppo sostenibile per attrarre investimenti e risorse, costruendo attorno ad essa un progetto e significati condivisi. Per far questo c’è assoluto bisogno di un profondo, esteso e coerente progetto di educazione, capace di formare giovani e meno giovani alla costruzione responsabile di una società fondata non soltanto su prezzi e incentivi monetari, su tecniche e metriche, ma su una visione e su significati condivisi, sulla genuinità dei rapporti interpersonali e su un’antropologia che guarda all’uomo non soltanto come agente economico ma come soggetto che è in e che ricerca la relazione con gli altri.
(di Gabriele Gabrielli, Docente Università Luiss Guido Carli www.gabrielegabrielli.com)