La banca dei Padani? Ha rovinato 2700 persone
La banca dei padani? Ha fallito e ha rovinato 2700 soci
Sorta nel 2000 su iniziativa della Lega nord, la banca Credieuronord andò presto incontro ad un rovinoso fallimento che, però, non ha intaccato la capacità del partito di Umberto Bossi di raccogliere voti nell’Italia settentrionale. I soci coinvolti nell’operazione della banca padana furono circa 2700, i quali per ogni azione acquistata avevano versato 25,8 euro. Nel 2004, appena ci si rese conto che la banca padana stava naufragando, i soci che scelsero di cedere le proprie azioni furono liquidati con 2,69 euro per azione. Chi, invece, scelse di tenerle, con la speranza che la Credieuronord venisse acquisita dalla Banca popolare di Lodi, non ha mai visto, né vedrà, un euro. Dopo sei anni dal fallimento della banca dei padani – con l’intervista che segue all’ avv. Agostino La Rana, esperto in diritto dei consumatori – si ritorna a parlare di quello scandalo per ricordare ai risparmiatori che fidarsi dei politici è sempre un rischio.
Avv. La Rana, che peso ha avuto la Lega nord nell’istituzione della banca “Credieuronord”?
Determinante. Bossi e i dirigenti leghisti utilizzarono come loro “braccio operativo”, quasi un “prestanome”, un certo Gian Maria Galimberti, il quale, a sua volta, veniva regolarmente invitato nelle assemblee dei militanti leghisti per pubblicizzare la costituzione della banca e raccogliere denaro sotto forma di azioni. Addirittura il 5 marzo del 1999, Bossi inviò una lettera a tutti i segretari delle sezioni locali della Lega, invitandoli ad attivarsi per sostenere la nascita di questa banca, sottoscrivendo e facendo sottoscrivere ai simpatizzanti quote di capitale, con le seguenti argomentazioni: “vogliamo fare una Banca padana e dei padani”, “la Banca deve essere solo nostra” e “la Banca avrà sportelli in tutta la Padania”. Orbene, il dato più sorprendente della missiva non erano tanto gli errori grammaticali e il tipico linguaggio colorito bossiano quando, ad esempio, ai segretari locali scrive: “Contiamo di chiudere la raccolta dei fondi entro aprile/maggio, quindi è un peso che non devi tenerTi troppo a lungo sullo stomaco”, quanto il fatto che fosse sottoscritta congiuntamente dal Comitato promotore della banca (all’epoca denominata “Credinord”) e da Umberto Bossi, nella sua qualità di Segretario federale della Lega nord per l’indipendenza della Padania.
Lei come si spiega il fallimento di questa banca?
Per due diversi motivi, uno generale e uno particolare. Il primo è che nacque come banca popolare, quindi i soci non detenevano un determinante potere di controllo sugli amministratori (come nelle banche di credito cooperativo) o sulla redditività dell’investimento (come nelle banche quotate in borsa), tant’è che, come rilevano le statistiche della Banca d’Italia, quello è il modello organizzativo che registra la maggiore “mortalità” tra le banche. Il secondo è legato a quattro o cinque fidi – di importi notevolissimi – che vennero concessi a clienti rivelatisi inaffidabili, tra i quali, così riferirono le cronache dell’epoca, anche l’ex calciatore del Milan Franco Baresi.
Secondo lei, l’allora governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio agì in maniera corretta nei confronti della Credieuronord?
Quella vicenda si inserì in una più ampia, dai contorni scandalosi. In pratica, l’allora manager della Banca Popolare di Lodi, Giampiero Fiorani, impegnato a scalare una banca (la Banca Antonveneta, ndr), intervenne in soccorso della Credieuronord, quando si manifestarono non solo i primi incagli, cioè i crediti che non rientravano, ma le prime sanzioni della Banca d’Italia. Un do ut des, insomma: io vi salvo la banca e voi leghisti appoggiate la mia scalata. Il tutto con la benedizione di Antonio Fazio, come dimostrarono le intercettazioni telefoniche che lo condussero a dimettersi.
Nonostante il clamoroso fallimento della banca padana, anche alle ultime elezioni regionali la Lega nord ha registrato un successo elettorale. Quali sono le sue considerazioni?
Ilvo Diamanti, il noto sociologo veneto editorialista de “La Repubblica”, evidenzia il radicamento sul territorio dei leghisti con il “porta a porta”, le buone amministrazioni locali, i limiti della sinistra ancorata ad una visione antiquata e caricaturale del mondo del lavoro, la paura dello straniero spesso giustificata dalla diffusione della criminalità extracomunitaria e dalla concorrenza sleale dei cinesi, una mentalità diffusamente gretta, ecc.
Dal fallimento di questa banca quale lezione possono trarre i risparmiatori?
Non fidarsi delle iniziative economiche sponsorizzate politicamente, perché è un ossimoro: o l’iniziativa è economica o è politica. A proposito di politica, vorrei citare l’esemplare comportamento di Giulio Tremonti, all’epoca – come oggi – Ministro dell’Economia e delle Finanze. Fu lui a pretendere da Berlusconi le dimissioni di Antonio Fazio, prendendo le distanze dai suoi amici leghisti. Nell’ora cruciale, si schierò a fianco dei servitori dello Stato: gli ispettori della Banca d’Italia, che non si piegarono nemmeno davanti alle illecite pressioni del loro capo. (a cura di Carlo Silvano – 27/08/2010))