In Campania fallite le politiche per il lavoro
Paolo Grassi sul “Corriere del Mezzogiorno” di ieri fa il punto sulle politiche intraprese dalla Regione Campania a sostegno del lavoro negli ultimi 15 anni e rileva uno straordinario sperpero di risorse finanziarie che nulla o poco hanno inciso sulle dinamiche occupazionali regionali. Milioni di euro dell’UE che non si sono tradotti in sviluppo di attività imprenditoriali in grado di creare nuova e stabile occupazione. La finanziaria regionale 2010 stanzia risorse e incentivi per le imprese che assumono lavoratori in cassa integrazione e ripropone il credito d’imposta. Propone inoltre le “borse lavoro” che consentono alle aziende di assumere per un anno giovani dai 18 ai 32 anni con un contributo di 500 euro mensili per i laureati e di 400 per i diplomati. In caso di assunnzione a tempo indeterminato al termine del “work experience” per le aziende è previsto un bonus di 12mila euro.
A nostro avviso queste restano politiche per il lavoro di tipo assistenziale a forte carattere politico-elettorale, incapaci di creare serie opportunità di performance per le imprese nè, quindi, prospettive di lavoro per i giovani. Al termine della “work experience” quanti dei giovani potranno concretamente ricevere dall’azienda una proposta di contratto di lavoro a tempo indeterminato? L’esperienza e la conoscenza delle dinamiche aziendali, non solo campane, peraltro in contesto socio-economico critico a livello nazionale ed internazionale, dimostra che non sono questi gli strumenti per creare nuovi posti di lavoro, stabili e funzionali alle esigenze di imprese e lavoratori. Impegnare 32milioni di euro per un anno significa dare soltanto un’illusione ai giovani di poter entrare nel mondo lavoro in forma stabile perchè gran parte delle Aziende utilizzeranno questo strumento per avvalersi a basso costo di unità lavorative impegnandole anche al di fuori dei limiti contrattuali e soprattutto senza alcuna reale intenzione di trasformare in contratto a tempo indeterminati questa tipologia di rapporti. L’eccezione serve soltanto a confermare la regola. Sarebbe stato molto più serio strutturare l’offerta formativa occupazionale in una forma più incentivante e più vincoltante per azienda e aspiranti lavoratori. A prevalere invece è stata ancora una volta una logica politico-clientelare che non tiene assolutamente conto dei reali bisogni delle imprese e di quelli dei giovani alla ricerca di impiego. Piuttosto quelle della classe politica alle prese con una nuova competizione elettorale.